La vertigine non è paura di cadere, ma voglia di mangiare
Ha forme differenti e può nascondersi dietro qualsiasi volto, o corpo. Non deve avere un nome, spesso non lo ha, ma se dovesse averlo sarebbe il seguente, e fa paura: disturbo alimentare.
Qual è la sua forma? Tutte.
Si nasconde dietro i chilometri di corsa che ti imponi ogni giorno per smaltire il riso scondito che hai cucinato a pranzo, dietro i sensi di colpa che ti attanagliano non appena mangi qualcosa in più, dietro le fitte allo stomaco, il gonfiore inaspettato, dietro alla voracità con cui a volte ti butti sul cibo, dopo un giorno di verdure e tisane.
Si nasconde dietro i volti smagriti, quelli più tondi, dietro le facce paffute, smunte, dietro visi normali. Si nasconde dietro corpi esilissimi, sformati, dietro rotondità accentuate e angoli spigolosi.
Si nasconde dietro un fisico comune.
Si nasconde dietro il sorriso abbozzato di quando ti chiedono perché non mangi, dietro al rifiuto davanti a un piatto di pasta al sugo, dietro allo scossone che ti arriva alla testa quando vedi le polpette fritte da tua nonna, dietro all’uscita con gli amici in cui hai potuto mangiare solo metà pizza e hai bevuto acqua minerale. Si nasconde dietro di te, perché pensi di essere l’unico. E non lo sei.
Si nasconde quando torni a casa con voglia di dolci che non potresti mangiare, o che ti sei imposto di non mangiare. Si nasconde dietro la tua amica, quando dopo essere uscita fuori a pranzo, ti dice che non mangerà a cena, e già lo sa. E tu ti chiedi come faccia, e perché tu invece non ci abbia pensato.
Si nasconde dietro alle abbuffate, quando trovi tutto quello che ti piace davanti a te, e ti sembra di averne bisogno. Si nasconde dietro ai nervosismi, alle risposte amare, al “non posso, sono a dieta”. Perché pensi di essere solo. E sbagli.
Si nasconde dietro esperienze che a raccontarle sembrano irrilevanti, e dietro altre terribili. Si nasconde dietro le parole di una ragazza che ho avuto la fortuna di conoscere e che si è aperta con me, raccontandomi di lei, della sua ossessione per la palestra, della sua dieta fai da te, dell’eliminazione completa dei carboidrati, che le ha rovinato lo stomaco.
Si nasconde anche dietro la sua rinascita, la voglia di ritrovare un equilibrio, di ristabilire il suo organismo e se stessa, partendo dalla testa, dalla gioia, dalla ricerca di armonia, di amore verso il proprio corpo.
Si nasconde dietro un’altra cara amica, che ha sofferto, tanto da non avere più voglia di mangiare, tanto da bere solo acqua per giorni, incurante, perché non pensava di averne bisogno. E invece ne aveva.
Si nasconde dietro gli sguardi, i commenti, i timori di essere troppo o troppo poco. Troppo magro, grasso, enorme, volgare, tozzo, scheletrico, malato, inguardabile, fuori forma, senza forme, indesiderabile insomma. Ma per chi? Per chi ci guarda, che sembra sempre così pronto a giudicare, commentare, gioire per il nostro sentirci inadeguati, in un corpo che non ci piace.
O per noi? Perché siamo vittime di una società che ci impone dei modelli, diciamo, perché siamo vittime di noi stessi, perché siamo carnefici, perché non ci vogliamo bene e non accettiamo di poter cambiare e di non piacerci più, o non esserci mai piaciuti, di non avere tutto subito. Ci lamentiamo di essere inadatti, ci tormentiamo con pensieri ossessivi su cosa è bene mangiare, quando, in che quantità, sui chilometri percorsi, sulle calorie ingerite…
Ci puniamo, quando invece dovremmo amarci un po’ di più. Dovremmo amarci quando siamo gonfi, sfatti, quando una dieta servirà a farci stare meglio, a vederci finalmente bene, quando alle rinunce seguiranno i risultati, quando siamo abbattuti e abbiamo voglia di gridare, quando tutti sembrano perfetti tranne noi.
Dovremmo amarci un po’ di più, accettare di essere mutevoli e insicuri. Dovremmo imparare a volerci un po’ di bene, che è l’esercizio più difficile. Dovremmo imparare a guardarci allo specchio, nudi, e a dirci che sì, magari c’è qualcosa su cui possiamo lavorare, ma andiamo benissimo così.
Un passo alla volta, dovremmo solo imparare ad accettarci.
E così accetteremo gli altri.
Stefania Malerba
Foto di Giovanni Allocca
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