Pure le banane soffrono…
Forse non lo sapete, ma al mondo esistono oltre mille tipologie di banane in commercio e numerose altre specie di alberi difficili da classificare, data la varietà di forme e sapori dei loro frutti straordinari.
Se vi sembra di stare perdendo qualcosa nel mangiare sempre lo stesso tipo di banana da tutta la vita, vi spiacerà sapere che abbiamo già perso tanto prima ancora di nascere.
Al giorno d’oggi la specie di banana più esportata al mondo è la Cavendish, originaria del Vietnam e della Cina, ma la sua diffusione sui nostri banchi ortofrutticoli è assai recente. Infatti, fino agli inizi del Novecento la specie più venduta è stata la Gros Michel, a detta degli esperti più gustosa e resistente della sua sorella vietnamita grazie a una buccia molto spessa che ne rallentava il processo di maturazione e decomposizione.
Perché allora nelle nostre cucine non possiamo più avere la dolcissima Gros Michel?
Negli anni ’50 una terribile epidemia fece la sua comparsa nel mondo agronomico, la cosiddetta Malattia di Panama, che distrusse quasi del tutto le coltivazioni di banane Gros Michel, all’epoca la sola tipologia di banana esportata negli Stati Uniti e in Europa.
Questa malattia consiste nella diffusione di un fungo altamente contagioso e letale per le piante – ma totalmente innocuo per gli umani – e impossibile da controllare tramite fungicidi o altri trattamenti chimici. Dato l’alto rischio di estinzione delle banane, gli scienziati cominciarono a studiare le coltivazioni per trovare una nuova varietà da impiantare ed esportare in maniera altrettanto massiccia.
Si scoprì che soltanto una specie di banana era abbastanza forte da sopravvivere al fungo, quella che prese poi il nome di Cavendish dal 7° duca del Devonshire che le coltivava nelle sue serre personali.
Resistenti al trasporto, di forme e dimensioni agevoli per il mercato mondiale, le banane Cavendish si dimostrarono degne eredi delle Gros Michel, che non si sono del tutto estinte, ma continuano a essere coltivate nelle poche zone in cui le condizioni pedologiche ostacolano lo sviluppo della malattia, ovverosia in Uganda, Myanmar, Hawaii, Malaysia e Cuba.
Nel frattempo, a distanza di quasi settant’anni, il fungo si è evoluto, tornando a minacciare le nostre nuove beniamine già nel 2013, devastando le coltivazioni mediorientali e africane, e sbarcando nel 2019 in America Latina, che è il cuore pulsante della produzione mondiale.
Sviluppare nuove varietà di piante è costoso e necessita di tempo e spazi molto ampi. Speriamo dunque che la scienza riesca presto ad arginare questa nuova emergenza.
Claudia Moschetti
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