Soffro, dunque creo: come gli artisti trasformano il mal d’amore in arte
Dopo una lite che lo separò temporaneamente dalla sua amante e collega scultrice Camille Claudel, Auguste Rodin pensò di appendere lo scalpello al chiodo:
“In un singolo istante, ho sentito tutto il potere della tua terribile forza -, le scrisse in una lettera appassionata datata 1883 – Follia atroce, è la fine! Non riuscirò mai più a lavorare… Eppure, ti amo furiosamente”.
Scrisse proprio così, Rodin, ma poi in realtà, durante i tumultuosi anni della loro relazione, non fece che scolpire, e sono proprio figlie di quegli anni le sue opere più famose, Il Bacio e L’Idolo Eterno.
Come Rodin, molti sono stati gli artisti capaci di incanalare il dolore del loro cuore spezzato nella propria arte. I risultati sono stati vari come varie sono le ragioni per cui gli amori finiscono, ma ciò che resta è sempre, immutabilmente, la bellezza di ciò che è stato che è l’altro lato della medaglia della perdita.
- Frida Khalo, Le due Frida (1946)
“Ho sofferto due gravi incidenti nella mia vita: il primo fu il tram che mi schiacciò; l’altro è Diego”, dichiarò Frida Khalo in un’intervista del 1951.
Ovviamente, l’artista si riferiva al marito Diego Rivera, con il quale condivise la passione per l’arte ed una relazione estremamente volatile. Il loro matrimonio si manteneva in precario equilibrio tra alti appassionati ed amarissimi bassi, spesso accompagnati da tradimenti da entrambe le parti.
Dopo quasi 10 anni di matrimonio, Frida ne scoprì uno particolarmente indigesto: Rivera aveva infatti intrapreso una relazione con sua sorella.
I due divorziarono temporaneamente nel 1939, ed i dipinti dei successivi anni mostrano tutto il grande dolore e la grande scissione di quel periodo.
Nessuno, forse, come Le due Frida, in cui due autoritratti dell’artista si fronteggiano sulla tela: il primo mostra un pendaglio che ritrae Diego, e un cuore intatto; la seconda Frida, invece, impugna un paio di forbici insanguinate, e dall’apertura del suo petto notiamo un cuore martoriato dalla sofferenza.
- Edvard Munch, Ceneri (1894)
Il simbolista norvegese Edvard Munch ha spesso autoalimentato le proprie sofferenze, dalle quale diceva di cavare la giusta ispirazione per i suoi dipinti. Malattie, crisi esistenziali e lutti hanno spesso contribuito alla nascita dei suoi lavori più famosi, ma è dalle sue tante relazioni tempestose che hanno preso vita le sue opere più appassionate.
Negli anni ’80 del XIX secolo, quand’era poco più che ventenne, Munch incontrò Millie Thaulow, una donna più grande di lui, e sposata. Munch ne divenne l’amante e se ne innamorò perdutamente, temendo addirittura d’impazzire quando la relazione terminò: “É apparsa un’inaspettata donna che mi ha mostrato il mondo intero, ed io ho ricevuto il battesimo del fuoco – scrisse, poi – Sono stato soggetto a tutto il disastro dell’amore, e per molti anni ho creduto di essere diventato matto”.
Da quest’esplosione di follia amorosa nacquero una serie di dipinti che vedono per protagonista una fiera, bellissima donna dai lunghi capelli rossi, come in questo Ceneri, nel quale una figura femminile se ne sta al centro della tela con aria virile, mentre l’uomo che le siede accanto si tiene la testa, disperandosi. A collegare le due figure, nient’altro che un debole fuocherello, probabilmente un’allusione alla passione che non è bastata ad evitare la tragedia della separazione.
- Marina Abramovic e Ulay, The Lovers: The Great Wall Walk (1988)
Subito dopo essersi incontrati e innamorati, gli artisti concettuali Marina Abramovic e Ulay cominciarono a collaborare a performance incentrate sui concetti di intimità, fisicità e condivisione: in Breathing in/Breathing out (1977), i due artisti rimasero con le bocche incollate per 20 minuti, letteralmente condividendo i propri respiri. Negli anni successivi, immaginarono quella che sarebbe stata la loro opera più ambiziosa: camminare l’immensa distanza della Grande Muraglia Cinese, partendo da direzioni opposte, per incontrarsi nel centro e lì sposarsi. Ma nel 1988, anno che avevano prescelto per la loro performance, la loro relazione giunse al termine. La loro relazione, forse, ma non il loro progetto: “Non eravamo più amanti e, come sembra sia sempre destino dei romantici, niente era come avevamo immaginato – ricorderà la Abramovic, successivamente – Ma non abbandonammo l’idea della nostra passeggiata”.
I due partirono davvero, come avevano programmato, dalle due estremità della Muraglia. Camminarono i 2.500 chilometri che li dividevano e dopo 90 giorni s’incontrarono nel centro. A quel punto, si dissero definitivamente addio e continuarono, di nuovo soli, ognuno per la sua strada. “Per lei, fu veramente difficile continuare da sola -, confessò Ulay, parlando di The Lovers – Per me, fu addirittura inimmaginabile, continuare da solo”.
Marzia Figliolia
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