Che colpa ne ho io se sono nata femmina?
Questo nostro mondo è diviso in vincitori e vinti, dove i primi sono tre e i secondi tre miliardi.
Come si può essere ottimisti?
È il 1962 e in questa canzone, Faber, esprime quello che ha sempre pensato: che ci sia ben poco merito nella virtù e ben poca colpa nell’errore. Basta spostarci un po’ più in là ed ecco che i valori diventano disvalori e viceversa.
Perché per noi è difficile? Perché abbiamo bisogno di battaglie, di petizioni, di manifestazioni?
La parità salariale tra uomo e donna è legge. Un percorso lungo. Si tratta di scardinare aspetti culturali che hanno permeato la società per secoli; qualche segnale si intravede e arriva senza mezzi termini dalle istituzioni. Il 26 ottobre scorso, il Senato, ha dato il via libera definitivo alla legge sulla parità salariale. La norma impone alle aziende sopra i 50 dipendenti l’obbligo di compilare un rapporto sulla situazione del personale con diversi indicatori, dai salari agli inquadramenti, dai congedi al reclutamento, in un’ottica di trasparenza e rispetto del principio di parità.
L’elenco delle aziende che trasmetteranno il rapporto, e quello di chi non lo trasmetterà, sarà pubblico. I dati saranno consultabili dai lavoratori, dai sindacati, dagli ispettori del lavoro, dalle consigliere di parità, con sanzioni fino a 5mila euro per mancata o fallace trasmissione dei dati.
Il testo, che in sostanza modifica il Codice del 2006 sulle pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo, istituisce anche la “certificazione della parità di genere”: un sistema per premiare le aziende che si impegnano a ridurre il divario sulle opportunità di carriera, a riequilibrare la retribuzione e ad attuare politiche di gestione delle disuguaglianze di genere e di tutela della maternità.
Il mondo femminile è vittima di un’ingiustizia sociale. Ingiustizia amplificata ancora più dalla pandemia, che, senza distinzioni di età e area geografica, ha colpito le donne sotto tutti i punti di vista, compreso quello economico. Basti pensare che sono 470.000 le donne che hanno perso il lavoro. Altri sono i numeri importanti: le laureate sono pari al 56% del totale di chi ottiene il titolo, ma solo il 28% dei manager. Ed è ancora possibile per una donna ricevere fino al 20% di stipendio in meno di un collega uomo, con medesime mansioni e ore lavorate.
Siamo donne, e siamo, a nostro modo, antesignane di un largo movimento che punta a difendere quel diritto alla libertà e di pensiero, ma più in generale, di vita, e per noi stesse. Perché in quel siamo donne, oltre le gambe c’è di più: c’è un mondo; un messaggio forte e chiaro che vuole celebrare la bellezza femminile nella sua integrità, sia essa intellettuale, mentale, ma soprattutto il suo rispetto. Quello che dovrebbe essere riservato a ciascuna di noi e che dovrebbe andare, appunto, ben al di là di un paio di belle gambe o di un décolleté florido.
La donna è mamma, è delicata, è cura: solo tre di tante e spesso ridicolizzate inclinazioni che non vanno a soddisfare tutto il genere femminile e chi in esso si identifica, specie se in un contesto in cui le regole degli uomini, e le stesse leggi, annullano qualsiasi tipo di libertà o di indipendenza femminile.
E se tutto andrà bene è perché ci siamo noi. Noi che ci crediamo ancora.
Meglio tardi che mai? E dai…
Francesca Scotto di Carlo
Illustrazione di Chiara Rinaldi
Vedi anche: Quando le “cose da femmina” diventano più importanti del tuo CV