Feria de Abril: la primavera colora Siviglia
Che sarebbe Siviglia senza la Feria?
Se vi siete mai informati sulla città andalusa, sicuramente vi sarete anche imbattuti nella sua festa più famosa.
Si tratta della Feria de Abril, una settimana di festeggiamenti che vanno dal sabato sera, con cena a base di pescaíto, al sabato successivo, in cui la città si spopola e i sivigliani, dal riempire le vie e i bar del centro, si spostano nel quartiere di Los Remedios, dove ogni anno si costruisce un vero e proprio paese, fatto di case, strade, attrazioni e un enorme arco di ingresso.
La sua data cambia ogni anno, celebrandosi due settimane dopo la Semana Santa, e coincide con la rappresentazione di numerosi spettacoli nella Plaza de Toros della città, la Plaza de la Maestranza.
Quest’anno la Feria comincia la notte tra sabato 30 aprile e domenica 1 maggio con l’accensione delle luci, alumbrao, e si conclude il sabato successivo, 7 maggio, a mezzanotte.
È considerato un appuntamento culturale e gastronomico, un passatempo, per così dire, che esercita un potere attrattivo fortissimo e a cui è difficile sottrarsi, come cittadino o come turista.
Dopo due anni di sospensione, quest’anno la festa è più attesa che mai, segnata sui calendari di tutta la città, o di buona parte, e dichiarata addirittura Festa di Interesse Turistico Internazionale.
La parola feria è di origine latina e veniva utilizzata dai nostri antenati per indicare i giorni festivi o di riposo, non in riferimento al lavoro, quanto piuttosto alle giornate in cui ci si dedicava ad atti di culto religioso e celebrazioni specifiche, che coinvolgevano tutta la cittadinanza.
In questa circostanza, ci si riunisce in un’area denominata Real de la Feria e ci si immerge in strade e casetas allestite per l’occasione, decorate da luci e lanterne colorate.
Ogni giorno la cittadina prende nuova vita, facendo un salto che sembra riportare al 1846, anno di realizzazione della prima feria, una festa agricola e zootecnica, organizzata da commercianti e imprenditori che si riunivano a presentare i frutti del proprio lavoro, durante tre giorni.
Oggi le cose sono diverse, anche se il clima fa pensare di trovarsi ancora lì, tra carrozze di cavalli e abiti tradizionali, panciotti, cappelli e camicie per gli uomini, abiti da flamenco, vestiti da amazzoni e enormi fiori su capelli raccolti per le donne.
Tutto, all’interno del recinto della Feria, è festa: i colori, il cibo, la musica e i balli.
E tutto riporta a una tradizione che non si vuole lasciare indietro e a cui i visitatori non fanno fatica ad avvicinarsi, nonostante lo scetticismo dei cittadini.
Il ritorno al passato è immediato: dalla terra che si calpesta e sporca le scarpe eleganti, pulite la mattina subito prima di uscire, all’odore acre delle carrozze dei cavalli, che percorrono le strade da mezzogiorno fino a sera, ai colori sgargianti, che riempiono le vie, le case e i trajes di bambine, ragazze e donne, alle espressioni serie e ai gesti precisi di chi balla la sevillana, alle mani che battono a ritmo di musica, intervallandosi al ticchettio delle scarpe da flamenco sul pavimento di legno.
È come una parentesi, una settimana in cui la quotidianità si sospende e scorre lenta, senza la frenesia che caratterizza il resto dell’anno, e ci si dedica all’ozio, così come piaceva ai romani e, a volte, piace anche a noi.
E immediatamente le preoccupazioni si ridimensionano e quasi ci sente autorizzati, una volta varcata quella soglia, a lasciarle indietro, per riprenderle più tardi.
Si entra sotto le luminarie di un arco immenso, che cambia ogni anno, e si esce, attraversando lo stesso arco che, ogni anno, dopo una settimana, si spegne, portando con sé le luci e i colori delle strade, le voci alte e le risate della gente, e lasciando nell’aria il sorriso sospeso delle cose finite, piedi stanchi e vento di primavera, in attesa di vedere quelle luci accendersi di nuovo.
Stefania Malerba
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