San Giorgio, è questione di prospettiva
Oggi, 23 Aprile, è il giorno in cui si celebra la festa di San Giorgio: il cavaliere che, nel nome di Cristo e sotto l’egida della croce rossa su sfondo bianco, ferì gravemente il drago con la sua lancia.
La storia di San Giorgio è molto nota.
Così conosciuta che da bambini, a notte fonde, si chiudevano gli occhi.
Si sognava di debellare le forze del male.
Si immaginava di inforcare quella stessa lancia e trafiggere le membra dei demoni sepolti nell’armadio della propria stanza.
Non tutti sanno, tuttavia, che nella storia dell’arte la rappresentazione di San Giorgio è stato un vero e proprio “caso” artistico. Un gioco di proporzioni e di distribuzioni degli elementi nello spazio che ha tormentato per anni il pittore della scena artistica fiorentina Paolo Uccello.
Ammantata di fede, la scena è la trasfigurazione del manicheismo che si incarna nella figura del cavaliere. Ebbene, un cavaliere non è mai un semplice cavaliere. È l’archetipo di una certa forma d’amore.
Un amore certamente incompleto e per sua stessa natura manchevole ma teso nel nome di Dio.
In Libia, un possente drago si nascondeva in uno stagno. Fagocitava gli animali, e le persone che gli abitanti dei villaggi gli offrivano per placare la sua rabbia. Un giorno, fu estratta a sorte la giovane figlia del re. Il regnante non accettò il verdetto e decise di offrire metà del suo regno per avere salva sua figlia. Ma il popolo, che aveva visto morire così tanti figli, rigettò la proposta. Così il re condusse sua figlia verso il lago quando un giovane cavaliere, Giorgio, offrì il suo coraggio in nome della fede per salvare la giovane donna.
Quando il pittore Paolo Uccello decise di raffigurare la scena in una tela – ora alla National Gallery di Londra – fu quasi un atto rivoluzionario.
A un osservatore superficiale, la pittura può sembrare piuttosto medievaleggiante. La corazza, la lunga lancia e la figura quasi marginale del santo sono piuttosto legnosi. Il santo, addirittura, è quasi una figura senza volto, dominato dalle linee curve del cavallo imponente e dall’armatura massiccia.
Il volto opaco, sommesso, appena tratteggiato della principessa è anonimo. Irriconoscibile tra il crine biondo che lo ammanta.
È come se fossimo al cospetto del teatro delle marionette.
La vivacità della scena è punteggiata dall’occhio della tempesta che troneggia alla sinistra di San Giorgio: incarna l’intervento divino nella lancia fatale. Nonostante la drammaticità intrinseca del contenuto pittorico, la scena appare priva d’emotività.
È un effetto voluto dal pittore?
Negligenza?
In realtà, Uccello era ossessionato dalla nuove possibilità dell’arte del tardo quattrocento in Italia, e fece di tutto affinché le sue figure campeggiassero nello spazio, come se fossero intagliate anziché dipinte. Non è importante che i personaggi sembrino semplicemente giustapposti e così innaturali da non proiettare nessuna ombra a terra.
Ciò che conta è la prospettiva.
Fu detto di Uccello che trascorreva notte e giorno in tentativi prospettici, sempre sottoponendosi a nuovi problemi. I suoi compagni d’arte raccontavano che era così immerso nei suoi studi che anche prima di andare a dormire esclamava: “che dolce cosa è la prospettiva!”.
E di fatto, l’elemento rivoluzionario si trova proprio nella prospettiva delle siepi sul terreno. Alle spalle del drago, di San Giorgio e della principessa, una scorciatoia di terra brulla s’inerpica verso il fondo. Serpeggia con tinte chiare sino a raggiungere il “punto di fuga” nelle valli tra le montagne. La prospettiva centrale non è scientifica ma intuitiva. Intuitiva perché frutto di innumerevoli osservazioni. Di sforzi titanici per addomesticare gli occhi del pittore.
Mediante la sua arte Uccello sceglie di costruire un proscenio attraverso la prospettiva dove le sue figure avrebbero avuto un aspetto solido e reale.
La solidità è ottenuta, eppure i personaggi sembrano semplicemente giustapposti, con un senso di forte astrazione.
Come è noto anche Raffaello ha dipinto San Giorgio attribuendogli lo stesso nome, così come Donatello ha realizzato una scultura di San Giorgio. Eppure, Uccello, a differenza degli altri artisti del Rinascimento, riesce a costruire una composizione artistica fiabesca, non drammatica, quasi fulgida. Assistiamo a un raro esempio in cui la ricerca maniacale di un tecnica artistica – la prospettiva intuitiva – produce un effetto inaudito che né Raffaello, né altri riusciranno ad ottenere: una scena non cruenta, una gestualità silente con corpi placidi, un’assenza di terrore o emozione nel volto della principessa.
È un vero e proprio caso di serendipità: l’irrazionalità degli spazi e dei corpi produce la dimensione surreale, l’amor contese e senza paura che nessun’altro artista riuscirà ad eguagliare.
Spero che anche oggi vi sia un po’ di serendipità nel festeggiare il vostro San Giorgio. Chissà, potrebbe rivelarsi una giornata fiabesca e onirica proprio come l’aveva immaginata Paolo Uccello.
Luigi Celardo
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