AAA cercasi lucciole
E lasciare che continuino a illuminare le nostre notti per ancora molto, molto tempo.
Ho ritrovato una foto di nonna A. Correva l’anno duemiladiciannove.
Ogni tanto sento il bisogno di aprire il suo armadio; tocco i suoi vestiti, sento il suo odore, le dico due parole, e tutto diventa – oltre che testimone di una vita che c’era e che è finita in un preciso momento – denso di significato, di ricordi, di emozioni, e ancora, di reazioni, di riflessioni positive, e inevitabilmente, anche negative.
Poi ho avuto un altro flash, e mi sono ricordata che all’inizio di quell’ottobre, avevo visitato una mostra: quella di Paola Di Bello intitolata “Cittadini” alla Galleria Bianconi. In questa esposizione, mi aveva incuriosito la presenza di due opere chiamate “Lucciole”, ottenute facendo camminare qualcuna di queste su della carta fotosensibile.
Il comunicato della mostra conteneva un riferimento ad un saggio del duemilanove dello storico dell’arte G. D. Huberman, “Come le lucciole. Una politica delle sopravvivenze”, a commento dell’Articolo delle Lucciole, pubblicato da Pasolini sul Corriere della Sera del 1 febbraio 1975.
Pier Paolo Pasolini ragionava sulla “scomparsa delle lucciole” per indicare la violenta omologazione dell’industrializzazione negli anni Settanta, quando il consumismo unificava l’Italia e le masse divenivano estranee ai valori e alle culture cui appartenevano e in cui erano cresciute.
“Nei primi anni Sessanta, a causa dell’inquinamento dell’aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c’erano più. (Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato…)”.
A questo punto gli indizi son più che sufficienti a provare che oggi devo occuparmi delle lucciole.
Ebbene. Le lucciole, pare facciano parte della famiglia dei Lampiridi. E solo grazie ad un enzima; la Luciferasi, che agisce su un substrato chimico dal nome Luciferina (riferimenti diabolici, o no) in presenza di ossigeno, che, hanno la capacità di emettere una luminescenza da alcuni dei segmenti trasparenti parte del proprio addome. Nelle lucciole adulte, l’emissione della luce serve come richiamo sessuale.
Le lucciole hanno un potere evocativo, nonché persuasivo. Le lucciole ci parlano di infanzia, di estate, di occhi, di risate, ma pure di meretricio e di inquinamento, e la loro riduzione, così come la loro scomparsa, è tirata in ballo come indicatore del peggioramento delle condizioni ambientali.
Non è la prima volta che Pasolini parla per un paesaggio. Mi piace pensare che questo torna ad essere il suo tessuto narrativo sublime e popolare insieme. Pasolini, quella volta, non aveva scritto un manifesto ambientalista, ma ne accennò, pertanto, alla relazione tra lucciole e inquinamento (nell’articolo sopra citato). Ma cosa direbbe adesso?
Quelle creature luminose che nell’immaginario collettivo svolazzano al crepuscolo rincorrendosi e emanando una meravigliosa luce verde, ormai sono diventate rarissime. Ti sei chiesto da quanto non ne vedi una? Io sì. Ed è triste.
Le lucciole stanno scomparendo, stanno subendo una lenta riduzione che ben presto potrebbe portare questi insetti alla loro fine, e a minacciare la loro sopravvivenza sono la perdita dei loro spazi naturali, l’uso dei pesticidi in agricoltura e l’inquinamento luminoso dovuto alla sovrabbondanza delle luci artificiali che interferiscono con la loro fase di accoppiamento.
La sopravvivenza delle lucciole, con e contro Pasolini al tempo stesso, dipende dunque da noi, dalla nostra capacità di cercarne il baluginio e rappresentarlo, malgrado tutto.
E poi, mi auguro con tutto il cuore che questo possa essere per noi il momento di spegnere la luce e accendere le lucciole. E che la loro bellezza resti intatta. Con tutto il cuore.
Francesca Scotto di Carlo
Illustrazione di Enza Galiano
Vedi anche: Pasolini cosa direbbe adesso?