Andiamo a fare un giro… un Giro d’Italia
Lo sport non è solo una pratica salutare o un passatempo ludico, bensì un vero e proprio sistema di valori e di tradizioni che si fa carico dell’identità nazionale.
In Italia, prima del calcio, lo sport nazionale per eccellenza era il ciclismo, almeno fino agli anni ’60 del secolo scorso.
Nel 1909 il più famoso quotidiano di argomento sportivo d’Italia, La Gazzetta dello sport, recuperò il modello d’oltralpe del Tour de France (nato appena 6 anni prima) e lo replicò nel Bel Paese, dando vita al Giro d’Italia.
Il Giro d’Italia è una corsa ciclistica maschile a tappe che si tiene di solito nelle prime settimane di maggio. Il percorso lungo lo Stivale varia di anno in anno, tra salite di montagna e tratti pianeggianti.
L’iconica “Maglia Rosa”, indossata dal leader della Classifica generale (chi percorre le tappe previste nel minor tempo possibile), deve il suo colore proprio alle caratteristiche pagine della Gazzetta (infatti soprannominata La rosea).
La maglia-premio rosa fu introdotta nel 1931 da Armando Cougnet, lo storico direttore del giornale sportivo, il quale si ispirò ai cugini francesi che avevano invece istituito la “Maglia Gialla”.
Fin dall’esordio, il Giro d’Italia si impose come uno degli eventi più attesi e seguiti dagli italiani. Tutti ne parlavano: dalle riviste di settore ai quotidiani nazionali e locali; dalle masse operaie e contadine agli intellettuali.
Ma come mai il ciclismo aveva riscosso un tale successo?
Forse perché si trattava di uno sport “contadino”, basato sulla fatica fisica, sulla resistenza dei singoli individui, sull’assistenza degli eroici gregari (i compagni di squadra degli uomini di classifica).
Tutto conduceva alla mitizzazione del ciclismo, riletto in un’ottica di riscatto umano nei confronti della natura e della storia. Attorno a questo sport si costruì una narrazione epica in cui i ciclisti erano visti come eroi e ogni singola azione diventava metafora dei valori nazionali.
Tant’è vero che il fascismo, fiutando l’enorme potenziale attrattivo e aggregativo del ciclismo, non si lasciò sfuggire l’occasione e lo integrò nella propria ideologia come attività eroica connessa al destino della nazione; pertanto i ciclisti erano i “soldati” della patria che combattevano, in suo nome, contro qualsiasi ostacolo.
Questa componente quasi mitologica del ciclismo fece sì che alcune scalate diventassero leggendarie. Tra le salite più celebri ricordiamo, ad esempio, quella sul monte Pinerolo, sul monte Zoncolan o sul passo dello Stelvio.
In ogni caso, il Giro d’Italia non sarebbe stato lo stesso senza il suo appassionato pubblico sempre pronto a parteggiare per questo o per quel corridore. A ciascun ciclista venivano affibbiati una serie di appellativi, aggettivi, apposizioni e soprannomi.
Una delle rivalità più note del ciclismo fu quella tra Fausto Coppi e Gino Bartali, due nomi che hanno fatto la storia del ciclismo italiano. Il loro palmarès congiunto vanta ben 4 Tour de France, 8 Giri d’Italia e più di 400 vittorie totali suddivise tra classiche e corse a tappe.
Erano gli anni ’40 e il Giro d’Italia stava diventando sempre più uno show globale, anche grazie all’attenzione che i mass-media davano alla competizione.
Da un lato, c’era Coppi – soprannominato “Il Campionissimo” o “l’Airone” – che incarnava i valori laici della sinistra ed era per questo chiamato “il comunista”; dall’altro, c’era Bartali – “Ginettaccio” – che per la sua forte religiosità era considerato vicino alla Destra Cristiana (DC) e quindi denominato “il democristiano”.
Si trattava chiaramente di una suddivisione strumentalizzata a fini politici, che poco aveva a che vedere con la realtà, ma che attecchì nell’immaginario collettivo assumendo su di sé i contorni dello scontro fra gli ideali politico-religiosi che all’epoca dividevano la penisola.
Nonostante i diversi orientamenti personali, quella tra Coppi e Bartali era una rivalità “sana”, dettata da grande rispetto e stima. A tal proposito, seppur costruita ad hoc, è simbolica la famosa foto dello scambio di borraccia avvenuto tra i due durante l’ascesca al Col du Galiber al Tour del 1952.
Una piccola curiosità su Bartali che dimostra l’impegno su più fronti dei ciclisti, finanche nella lotta al nazismo: si racconta che Ginettaccio nascondesse all’interno del telaio della propria bicicletta, in un periodo in cui telecamere e riprese video non avevano ancora reso ogni attimo della corsa pubblico, documenti falsi per gli ebrei in fuga.
Tale attività filantropica dopo la morte gli valse la medaglia d’oro al valore civile (2005, Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi). Per approfondire questa storia, consigliamo la lettura di Un cuore in fuga di Oliviero Beha.
Tanti sono i ciclisti entrati di diritto nella hall of fame di questo sport. Basti pensare a Eddy Mercx, vincitore del Giro d’Italia per 5 volte negli anni ’60 e primo ad affrontare la gogna pubblica per lo scandalo doping; oppure a Marco Pantani, chiamato “il Pirata” per la sua vita sregolata e fuori dagli schemi, trovato morto in una camera d’albergo nel riminese dopo aver compiuto l’impresa di trionfare nello stesso anno sia al Tour che al Giro.
O ancora a Vincenzo Nibali, campionissimo degli scorsi anni e del nostro presente, accolto nell’èlite dei soli 7 ciclisti riusciti a concludere sul gradino più alto del podio le tre manifestazioni a tappe principali (Giro, Tour e Vuelta) nel corso della loro carriera.
Con lo scorrere del tempo e le inevitabili trasformazioni della modernità che hanno investito anche questo sport (il doping, lo sviluppo tecnologico delle bici, gli itinerari prevedibili, le gare a cronometro) il grande pubblico ha perso interesse e il ciclismo è stato declassato a sport di nicchia.
Spesso ci si è interrogati sulle possibilità future del ciclismo. È arrivato al capolinea? La folta schiera di spettatori che anche quest’anno sta seguendo con entusiasmo la competizione, sul posto o in streaming, sembrerebbe allontanare queste preoccupazioni.
Intanto, vi ricordiamo che il gran finale del Giro d’Italia 2022 è previsto il 29 maggio con l’arrivo all’Arena di Verona (tappa n°21).
Vi state ancora chiedendo se il ciclismo potrebbe appassionarvi o vi siete già precipitati in strada a tifare?
Giusy D’Elia
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Copertina: Flickr | CC BY 2.0
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