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Contro la letteratura di intrattenimento… ma perché?

Avete mai pensato al perché la letteratura italiana contemporanea non venga quasi mai vista di buon’occhio?

La verità è che l’eredità della passata letteratura novecentesca è ancora troppo radicata per lasciarla andare.

Iniziamo dalla definizione. La cosiddetta letteratura d’intrattenimento cominciò a nascere fin dai primi decenni del Novecento quando, in seguito a provvedimenti a favore di una forte e massiccia alfabetizzazione, il pubblico dei lettori italiani si andò ampliando sempre di più, cominciando a comprendere non solo gli intellettuali colti e nobili, ma anche altre fasce di popolazione, tra cui lavoratori, studenti e donne

Di fronte a questa diversificazione sempre più palese del mercato, tanto gli editori quanto gli scrittori sentivano l’esigenza di adattarsi a questo nuovo pubblico di lettori proponendo opere – non solo classiche e, soprattutto, non solo specialistiche – per far in modo che i nuovi lettori si potessero avvicinare sempre di più alla lettura e, di conseguenza, all’acculturazione. 

I temi delle opere, quindi, cominciavano a cambiare. Non si trattava più solo di storie impegnate, di divulgazione, accademiche; si cominciava, anzi, a sviluppare il fortunatissimo genere della narrativa, con tutte le sue diverse sfaccettature: narrativa rosa, gialla, fantasy, noir. 

In sostanza erano opere più leggere che avevano il compito di “svezzare” chiunque si apprestasse alla lettura per la prima volta in maniera delicata e piacevole, senza spaventare i lettori con un linguaggio aulico, specialistico e… incomprensibile per i non addetti ai lavori. 

Questo boom della narrativa di intrattenimento – intesa, quindi, come narrativa che deve intrattenere il pubblico di lettori senza che la lettura delle opere richieda troppo sforzo mentale – non era ben visto dagli intellettuali, dagli “Scrittori con la S maiuscola” e dai critici letterari, che vedevano la nuova narrativa come una mercificazione della letteratura vera e propria, la quale a sua volta veniva a perdere il suo valore sacro e il suo potere di cambiamento del mondo. 

Questa vecchia eredità, purtroppo, viene portata avanti ancora oggi. Non a caso, nonostante tra i romanzi attuali ce ne siano innumerevoli davvero validi e profondi, si fa fatica a pensare che un giorno queste opere possano diventare dei classici – nel senso tradizionale del termine, ovvero di colossi intramontabili della letteratura. 

Questo perché, tutt’ora, letteratura di intrattenimento equivale a letteratura della superficialità, ad elogio dell’inconsistenza e dell’effimero.
Basti pensare alle parole del professor Cesare de Micheli, ex docente di letteratura italiana presso l’università di Padova, che sostiene fermamente che la letteratura di oggi è «bella ma effimera, proprio come l’intrattenimento». 

Durante l’intervista rilasciata al Giornale nel 2013, il professore esprime giudizi piuttosto ferrei su quello che per lui è il declino della letteratura, che passa ad essere una letteratura che non dice nulla, che nulla ha a che vedere con scrittori come Dante, Manzoni, Boccaccio o con qualsiasi altro scrittore dell’Umanesimo italiano. 

«[…] batti e ribatti è passata l’idea che la letteratura non sia un luogo speciale dove risiede il patrimonio della tradizione, ma un prodotto come tanti, come i fumetti o la musica. Una letteratura estetizzante… Ma la letteratura non è bella, la letteratura è vera e buona.»

Un giudizio estremo che mal si adatta alla nuova epoca, ai cambiamenti sociali e culturali, nonché alle esigenze di un pubblico ormai vastissimo e digitalizzato, che non si sofferma alla lettura di un unico genere, ma ha bisogno di spaziare, di inglobare quanti più generi possibili per quella che io definirei una “fame di carta stampata”. 

Il che non deve per forza essere inteso in senso denigratorio nei confronti della letteratura contemporanea. Bisogna, infatti, partire dal presupposto che l’intrattenimento è lo scopo di qualsiasi tipo di letteratura, anche dei grandi classici: per cosa hanno scritto Montale, Pavese, Vittorini, Calvino, Fenoglio, Rea, Ginzburg, Morante, se non per intrattenere, ovvero per catturare l’attenzione del pubblico e trattenerla fino alla fine del libro

Simonetti, nel suo testo La letteratura circostante, parla di questa nuova letteratura che, a differenza di quella novecentesca, è meno riflessiva, meno introspettiva, meno lenta: punta tutto sulla velocità e sulla frenesia. Questo, però, non vuol dire che questa letteratura sia incapace di proporre contenuti altrettanto profondi, che inducano alla riflessione e al porsi domande. 

Un primo passo per staccarci da un’eredità del passato pesante e che offusca tutto il resto sarebbe che i critici letterari e gli “intellettuali altolocati” smettessero di demonizzare la letteratura di intrattenimento e, invece, cominciassero a guardare alla letteratura tutta con uno sguardo d’insieme, a trecentosessanta gradi, privi da qualsiasi tipo di pregiudizio.

Solo così, forse, si potrà cominciare a dare il giusto peso e il giusto riconoscimento ad opere che vengono considerate “di serie B”.  

Anna Illiano

Copertina: stringfixer.com

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Anna Illiano

Anna Illiano (Napoli, 1998) è laureata in Lingue e Letterature euroamericane e si sta specializzando in editoria e giornalismo presso La Sapienza di Roma. Ha un blog personale “Il Giornale Libero” ed è articolista per il magazine La Testata. Dal 2021 collabora occasionalmente col giornale “il Post Scriptum”
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