Focus on: Elliott Erwitt, ironia in foto.
Capire cosa sia la fotografia e quanto questa forma d’arte sia distante anni luce da come noi smartphone-dotati la intendiamo, lo si può fare solo guardando più da vicino chi, come Elliott Erwitt, il mondo della fotografia lo ha attraversato lasciando un segno deciso e netto.
Odio con tutta me stessa l’atteggiamento fiero e conservatore di chi comincia i suoi discorsi con la frase “al giorno d’oggi”, come se sapesse cosa c’è stato prima di oggi e per il solo motivo che ormai appartiene al passato va rimpianto con disperata nostalgia.
Eppure mi ritrovo adesso a fare un doveroso confronto tra passato e presente. Non lo farò con quella stucchevole nostalgia dei conservatori, ma comunque lo farò.
In un mondo in cui la fotografia è diventata seriale e paranoica riproduzione di se stessi, in cui possedere un cellulare con una fotocamera ci abbia resi tutti un po’ fotografi, tutti un po’ artisti, tutti un po’ amanti del bello, facendoci sfuggire quanto ci sia di umano e di geniale in qualcosa che viene prodotto da una macchina fotografica, è obbligatorio fare un passo indietro e sapere cosa sia un fotografo, cosa sia fare fotografia.
“Sono quasi violento quando ho sotto mano quella roba: la manipolazione elettronica delle foto. Penso che sia orribile. La rifiuto“.
Questo il motivo per il quale vi proponiamo un focus on Elliott Erwitt. Artista nato a Parigi nel 1928 da genitori ebrei, vive la sua giovinezza tra la sua città natale, Milano e l’America. A seguito delle leggi razziali, infatti, Erwitt lascia l’Italia nel ’39 alla volta di Hollywood. Con la sua fedele Rolleiflex, Erwitt gira l’America, la Francia e la Germania (dove presta servizio militare tra le fila dell’esercito americano).
Ma la svolta nella sua carriera arriva grazie a Roy Stryker, che lo assume alla Standard Oil Company. Da questa collaborazione nascono un libro fotografico e ad un reportage su Pittsburgh. Dagli anni ’50 in poi Erwitt tocca l’apice della sua carriera: collabora con riviste famose come Life, entra a far parte dell’agenzia Magnum Photos grazie a Robert Capa, presta il suo genio al cinema.
“Non sono un fotografo serio come molti dei miei colleghi. Cioè prendo seriamente la mia mancanza di serietà“.
La sua fotografia è una fotografia iconica proprio perché fortemente ironica: il suo sguardo sul mondo è quello divertito, leggero e buffo di chi non ha intenzione di prendere sul serio la vita, la realtà, la società, il presente. Questo il motivo per cui soggetto preferito della sua arte sono i cani.
Nei 4 libri dedicati ai cani (Son of Bitch, Dog Dogs, Woof e Elliott Erwitt’s Dogs) c’è racchiusa tutta l’essenza della produzione fotografica di Erwitt. I cani, colti spesso in istanti di spontanea e tenera irriverenza, fanno da contraltare alla boria e alla pomposa compostezza dei padroni, che nelle foto appaiono quasi appendici, accessorie compagnie dei loro animali.
Rigorosamente in bianco e nero, la fotografia di Erwitt ricorda spesso, nei soggetti come nella spontaneità degli scatti, quella del collega francese Cartier- Bresson: eppure nella fotografia di Erwitt di diverso e di peculiare c’è quella spontanea e tangibile leggerezza di chi con la sua arte vuole smontare le ansie, le storture, l’insostenibile peso del presente.
La stessa leggerezza compare evidente anche quando il suo obiettivo affronta temi caldi come le discriminazioni razziali, la guerra, il panorama politico internazionale, la morte.
Qui alcuni scatti “impegnati” di Elliott Erwitt.
Ma ciò che forse più colpisce della fotografia di Erwitt è la visone spensierata ed entusiasta dell’amore. Quella gioia inconsapevole e sognante che emerge vivida dai due amanti colti in auto all’immediata vigilia di un bacio, è quella esatta gioia, quella precisa felicità che ognuno ha provato almeno una volta nella vita, che ognuno da quel momento in poi si aspetta dall’amore.
Valentina Siano
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