Henri Matisse e i consigli… da artista agli artisti
Agli albori del XX secolo, un francese sui trent’anni che andava sotto il nome di Henri Matisse scioccò il bel mondo parigino con il suo dipinto Donna con cappello (1905).
I colori applicati sulla tela non seguivano alcun senso logico (verde sul naso, arancione sul collo, rosa e blu su braccia e mani), e avevano l’effetto di far grattare la testa al confusissimo pubblico di critici e appassionati.
Ma, se questi colori potevano sembrare schizofrenici e innaturali agli occhi degli altri, non lo erano affatto per Matisse, che, come il contemporaneo Edvard Munch, non era interessato a dipingere ciò che vedeva, ma ciò che sentiva. Quest’approccio diventerà la particolarità di un nuovo movimento artistico, il Fauvismo, così chiamato per via di un commento del critico Louis Vauxcelles che, alla prima collettiva esposta al Salon D’Automne nel 1905, definì la sala come una cage aux fauves, e cioè una “gabbia di bestie”, a causa della violenza espressiva del colore.
Tra gli appunti delle lezioni che tenne come professore d’arte, le lettere personali e le pagine del suo diario, Matisse si è lasciato dietro dozzine di testi che rendono chiara e feroce la sua visione riguardo l’essere un artista. Chiara e feroce come i colori dei suoi dipinti.
- Lezione #1 – Impara le basi, quindi sii espressivo
Il mantra artistico di Matisse, per tutta la vita, può essere riassunto in un’unica asserzione: l’espressione è tutto. Nelle sue stesse parole, datate 1908: “Tutta la sistemazione dei miei dipinti ruota attorno all’espressione: il posto che occupano le figure, gli spazi vuoti attorno a loro, le proporzioni, tutto ha la sua parte”.
Quello che cercava di fare era “dipingere la luce: non il fenomeno fisico, ma proprio quella luce che esiste davvero, che è nel cervello dell’artista”.
Ma questo Matisse lo scriveva nel 1945, al culmine del suo percorso artistico. Prima di poter aspirare ad esprimere alcunché, l’artista era convinto che bisognasse padroneggiare al meglio le basi della storia dell’arte e così, da studente, Matisse aveva frequentato il Louvre quotidianamente, per copiare le opere dei Maestri come Raffaello, Nicolas Paussin e Annibale Carracci.
“Sbaglia chi crede che non ci sia continuità nel progresso dell’arte –, scriveva nel 1935 – abbandonando le tradizioni, infatti, un artista non avrebbe che un fuggevole successo, ed il suo nome sarebbe facilmente dimenticato”.
- Lezione #2 – Crea le tue regole
Matisse non è mai stato un amante delle regole, da quando aveva abbandonato la scuola nel 1892 per perseguire una carriera nell’arte. Poco dopo avrebbe abbandonato anche l’Accademia di Belle Arti, dove si sentiva costretto a dipingere solo paesaggi e nature morte, per passare un anno a ritrarre solo quello che voleva. E quello che voleva ritrarre erano i colori, così come li sentivano i suoi occhi.
Anche quando un giornale americano titolò sarcasticamente “Henry Hair Mattress giudicato colpevole di ogni delitto artistico”, dopo la mostra all’Armory Show di New York nel 1905, Matisse continuò a rispettare le proprie regole, e a chi gli chiese in un’intervista del 1912 perché dipingesse pomodori blu, rispose solo: “Perché io li vedo così, e non ci posso fare niente se non è così per nessun altro”.
- Lezione #3 – Circondati delle cose che ami: ti saranno d’ispirazione
Il luogo di lavoro di Matisse sembrava uscito da un mondo parallelo, pieno di sogni e meraviglia. George Salle, nel 1954 descrive così il suo studio di Nizza: “Le opere di Matisse si riflettono nei marmi, nei legni dorati, nelle porcellane, nei tappeti orientali – un intero negozio di curiosità per un assaggio di quotidiana magia: il laboratorio di un alchimista”.
In effetti, sia nello studio di Nizza che in quello di Vence (che Matisse chiamava La Reve, il sogno), Matisse teneva sempre la sua “libreria di lavoro”: un cassettone pieno di memorabilia, ceramiche, statuette, piante e qualunque oggetto che sentiva avrebbe potuto ispirarlo nella sua attività e aiutarlo durante i momenti di blocco: “Gli oggetti sono attori – dichiarò una volta – e un buon attore può avere anche più ruoli in dieci film diversi”. Tra i suoi oggetti preferiti c’erano un vaso di vetro soffiato azzurro dalla Spagna, una brocca in peltro francese e alcune tende nordafricane.
- Lezione #4 – Non permettere a niente e nessuno di impedirti di fare arte
Nel gennaio del 1941, il settantaduenne Henri Matisse tornò da una visita medica con una tragica diagnosi: cancro al duodeno.
Nonostante l’intervento di rimozione di una parte dell’intestino gli salverà la vita, Matisse quasi morì a causa delle complicanze dell’intervento, e dovette passare il resto dei suoi giorni confinato a letto o su una sedia a rotelle.
Ma, invece di pensare a quest’improvvisa disabilità come alla fine della propria carriera, Matisse l’affrontò come un nuovo inizio: riorganizzò la sua stanza da letto affinché tutto ciò che gli serviva per dipingere fosse a portata di mano e, persino quando le sue condizioni deteriorarono al punto da impedirgli di reggere il pennello, continuò a comporre le sue opere attraverso la tecnica del cut-out, ritagliando le figure da giornali e incollandole su pannelli di dimensioni ancora maggiori rispetto alle sue tele.
In una lettera indirizzata a suo figlio Pierre, Matisse descriverà questa creatività ritrovata e inattesa: “Sono ancora qui. Mi concentro su un’unica cosa: il mio lavoro, per il quale solo sono vivo”.
Marzia Figliolia
In copertina Donna con cappello di Henri Matisse da Frammenti Rivista
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