Il pamphlet, ovvero come sfogare la rabbia con stile
In un’ipotetica conversazione andrebbe così:
A: – Pamphlet? E che cos’è?! Un cibo esotico? Un capo di vestiario? O forse… una parolaccia?
B: – Frena, frena! Non ne hai azzeccata una!
Il Pamphlet è un genere letterario di carattere polemico-satirico in cui l’autore si scaglia contro un individuo, un gruppo, un’istituzione politica o religiosa, un fatto di attualità.
Il termine sembrerebbe provenire dall’antico francese pamphilet che designava la commedia latina, dal nome di un personaggio del Pamphilus seu de amore. In un secondo momento il vocabolo passò ad indicare un opuscolo mordace di dimensioni contenute .
I natali del pamphlet si perdono nei meandri della memoria, tra le nebbie di epoche antiche: la satira menippea, originatasi nel III secolo a.C. tra Grecia e Anatolia, potrebbe infatti corrispondere ad una sorta di antenato, una definizione ante litteram del genere.
Difatti ricade sotto questa etichetta una satira menippea di Lucio Anneo Seneca, ovvero l’Apokolokyntosis. Questo altro forestierismo, la cui pronuncia metterebbe in crisi i maestri di dizione, è un neologismo dell’autore creato dall’unione di due termini greci e significa “Deificazione di una zucca”.
Ecco un altro possibile momento di sconcerto nel lettore ignaro: ma in che senso?
Ebbene, Seneca non aveva avuto una vita facile, soprattutto a causa dell’imperatore Claudio. L’imperatore, attorno al 41 d.C., lo aveva condannato all’esilio in Corsica perché sospetto di aver partecipato ad una congiura fallita. Le fonti non sono chiare al riguardo, ma di certo una simile sentenza non poté che indispettire il povero Seneca.
Una volta rientrato in patria grazie all’intercessione di Nerone, Seneca si prese la sua rivincita sul “giustiziere” scrivendo l’Apokolokyntosis. Il libello racconta dell’arrivo di Claudio – ormai defunto – nell’oltretomba. Qui viene trattato come uno sciocco servo e condannato agli inferi per i crimini commessi, nientedimeno che da Augusto in persona.
Un mirabile esempio di “dente avvelenato” insomma. Va detto però che Seneca attese la scomparsa del suo accusatore prima di azzardarsi a pubblicare un simile testo, il quale tra l’altro fu destinato ad una circolazione alquanto limitata e anzi praticamente circoscritta alla sola corte.
Quello di Seneca è forse uno dei modelli paradigmatici più noti della forma “pamphlet”, ma assolutamente non la sua unica rappresentazione.
Il genere si consolidò ufficialmente tra Cinquecento e Seicento, favorito dalle controversie religiose. Infatti per la sua natura polemica e propagandistica, il pamphlet è il mezzo di espressione letteraria più funzionale nei momenti storici movimentati (guerre e dispute di varia natura). Il suo periodo di maggior fioritura fu il Settecento. Invero, durante l’illuminismo, il pamphlet fu alimentato dalla nascita dell’opinione pubblica e dei periodici e inoltre inglobò tematiche filosofiche.
Nella Francia rivoluzionaria si ebbe un proliferare di scritture pamphlettisiche. Tra le varie, ricordiamo Che cos’è il terzo stato? di Joseph Sieyès. E ancora, sempre nella stessa area geografica ma in un diverso contesto socio-politico, Émile Zola scrisse J’accuse, una lettera aperta rivolta al Presidente francese in merito all’Affaire Dreyfus, che gli costò persino un anno di carcere!
A livello nazionale, possiamo menzionare due autori vissuti nei secoli XIX e XX.
In primo luogo, Matilde Serao, una delle prime vere giornaliste d’inchiesta dell’editoria italiana. Tra la miriade di pubblicazioni cui prese parte, si annovera anche un famosissimo pamphlet – o almeno questa è la classificazione che ne viene fatta – Il ventre di Napoli. La Serao, dotata di un coraggio fuori dagli schemi oltre che di un grande talento letterario, descrisse in queste sue pagine la vita tormentata e miserabile del popolo partenopeo. Il libretto era una sonora invettiva alle autorità e alle istituzioni, sorde dinanzi alle terribili condizioni in cui versava la plebe meridionale.
In secondo luogo, Leonardo Sciascia. L’intellettuale si è sempre distinto per l’interesse – all’epoca ancora raro – nei confronti dell’istituzione mafiosa che nelle sue opere ha analizzato e raccontato, soffermandosi sui rapporti oscuri di questa con il governo. Sciascia sperimentò diverse forme di scrittura, tra le quali anche il pamphlet con La scomparsa di Ettore Majorana e L’affaire Moro. In entrambi affrontava due casi di cronaca con la consapevolezza di vivere in una società ingiusta che muove i fili, che cavalca i sentimenti peggiori dell’uomo, che oltrepassa senza remore il limite tra legalità e illegalità. L’unico esito possibile è la sparizione degli “eroi”.
Il pamphlet è una risorsa letteraria indispensabile per gli scrittori, affinché questi possano denunciare situazioni problematiche, portare a galla argomenti scomodi per il potere costituito o anche semplicemente togliersi dei sassolini personali dalla scarpa. In definitiva, è proprio un genere multitasking!
La prossima volta che vorrete scagliare i vostri strali contro qualcuno o qualcosa, fatelo con un bel pamphlet!
Giusy D’Elia
Fonte copertina Pixabay
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