Mancavamo solo noi! Il calcio femminile diventa professione
In una società che ancora combatte contro il patriarcato e gli stereotipi di genere, le donne devono ancora veder compiere alcuni passi verso i propri diritti nonostante siamo nel 2022.
E tutto ciò si riversa anche nello sport, tra i cui princìpi fondamentali dovrebbero esserci l’unione e il rispetto tra le persone, comprese le fasce maggiormente colpite dalle discriminazioni.
Però qualcosa inizia a muoversi! Infatti, di recente, il calcio femminile in Italia è ufficialmente diventato una professione.
Tale vittoria arriverà, finalmente, dal 1° luglio 2022 e riguarderà solo la Serie A.
Ciò significa che le calciatrici di tale campionato vedranno riconosciuti:
- i propri contributi previdenziali;
- il trattamento di fine carriera;
- i club dovranno versare l’Irpef.
Ci sono, però, ancora alcune cose per cui combattere.
La prima battaglia riguarda il gap salariale: le calciatrici che faranno del calcio la propria professione, il salario minimo sarà di 26 mila euro lordi l’anno, contro i 42.477 dei calciatori della massima serie.
Altra differenza che c’è rispetto ai colleghi maschi è che dalla Serie B in giù il movimento resterà dilettantistico.
Rispetto alla maggior parte dei Paesi europei siamo arrivati “leggermente” in ritardo – si pensi che in Francia come in Germania, Inghilterra e Spagna, il professionismo è presente da più di 10 anni –, ma la decisione attuata dal Consiglio Federale della Figc è, sicuramente, di rilevanza storica.
Alla base della discriminazione tra il professionismo negli sport maschili e femminili vi è la legge 91/1981, che delega alle singole federazioni la scelta di aderire o meno al professionismo.
La Figc è stata la prima federazione sportiva nazionale che ha compiuto questo passo molto importante, sperando sia di buon esempio alle altre federazioni.
Irene Ippolito
Fonte copertina da Huff Post
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