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Dal tetto un pezzo di cielo: lo sguardo di Anna Frank

Un venerdì 12 giugno di 80 anni fa, una bambina ebrea, tedesca di nascita, ma olandese d’adozione, cominciava a scrivere su un diario.

Era il 1942, la bambina si chiamava Anna Frank e quello che scriveva avrebbe scosso intere generazioni, ma lei non l’ha mai saputo.

«Subito dopo le sette andai da papà e mamma e poi nel salotto per spacchettare i miei regalucci. Il primo che mi apparve fosti tu, forse uno dei più belli fra i miei doni».

È così che Anna racconta l’emozione del suo tredicesimo compleanno, la corsa verso i regali tanto attesi, la sorpresa nello scartarne uno tra gli altri, tanto comune quanto speciale e inaspettato.

Comincia qui la sua storia e, in quelle pagine, giorno dopo giorno, lei trova un amico sincero e un compagno inseparabile.

La copertina è a quadretti rossi, come quella del diario che aveva visto il giorno prima nella piccola libreria vicino casa. Lei lo apre, si presenta, si descrive e comincia a confidarci le preoccupazioni, le emozioni delle piccole scoperte, il primo amore per Peter, i timori e le paure, prima trascurabili, poi sempre più insistenti.

Anna prende la sua realtà e inizia a raccontarla: i compagni di scuola, la sua amica più stretta, le vicende della sua famiglia… Ma questa realtà si frammenta e si riduce in un lampo, e quello che era la sua quotidianità lascia spazio alla segregazione.

Protagonista c’è lei, con i suoi cari, vittime, in quanto ebrei, della persecuzione nazista che venne attuata con durezza ad Amsterdam. Le ore passate in classe diventano ricordi lontani, così come i volti dei compagni, sfocati, nell’amara presa di coscienza di una bambina costretta a crescere in fretta.

Non può più frequentare la scuola e le sue giornate scorrono tra le mura dell’abitazione prima e dell’alloggio segreto poi. Non c’è valvola di sfogo, solo il piccolo appartamento al numero 263 di Prinsengracht.

Rimangono le pagine bianche, da riempire di parole, e in cui si intervallano racconti, riflessioni e la voglia di pubblicare un libro: il vissuto di due anni di segregazione.

Il 29 marzo 1944 scriveva: «Immagino quanto sarebbe interessante se fosse pubblicato un romanzo su il Secret Annex», l’alloggio segreto che li ospitò.

Il racconto si interrompe bruscamente nell’agosto del 1944, quando la famiglia Frank viene arrestata e portata nel campo di concentramento di Auschwitz e da lì a quello di Bergen Belsen.

Il desiderio della ragazzina era di scrivere a qualcuno. Al principio, di amici, ne trova anche più di uno, inventando vari personaggi tra cui Kitty, Pop, Phien, Conny, Lou, Marjan, Jettje, e Emmy, come si trattasse di un vero gruppetto di compagni.

Mentre all’interno del gruppo tutti si avvicinano e allontanano, solo una ragazzina di 14 anni diventa la più cara per lei. E così la sua presenza si fa man mano costante. 

Dear Kitty” è il personaggio fittizio a cui Anna indirizza molte delle sue lettere. Appare per la prima volta il 22 settembre 1942, fino a risultare un destinatario essenziale, verso cui nutrire un sentimento quasi fraterno, visibile nella tenerezza del tono che utilizza: My darling Kitty, Dearest Kitty

Esistono due versioni autografe del diario. La prima va dal 12 giugno 1942 al 1 agosto 1944, con un quaderno mancante sul periodo che si estende dagli inizi di dicembre 1942 al dicembre dell’anno successivo.

L’intenzione dell’autrice era quella di trascrivere i suoi pensieri più intimi e non darne accesso a nessun altro oltre lei. Col tempo, cambiò idea, e riscrisse, modificò ed eliminò, lavorando sul suo testo, così come su se stessa. 

La seconda redazione, che avvenne su fogli sparsi, ma con piena consapevolezza, da parte di Anna, in vista della futura pubblicazione, copre il periodo che va dal 20 giugno 1942 al 29 marzo 1944.

La presa di coscienza avvenne il 28 marzo 1944, ascoltando una trasmissione radio. Gerrit Bolkestein, allora membro del governo olandese in esilio, dichiarò che una volta terminato il conflitto, avrebbe creato un registro pubblico delle oppressioni sofferte dalla popolazione del Paese sotto l’occupazione nazista; menzionando la possibilità di pubblicazione di lettere e diari.

da Infobae

Dopo la guerra, suo padre Otto, unico sopravvissuto, realizzò il sogno della figlia.

Passarono anni ma il romanzo fu pubblicato.
Come titolo, un luogo solo, Il retrocasa.

Subito dopo la rivelazione della morte di Anna, avvenuta nel campo di concentramento di Bergen-Belsen, Otto scriveva, in una confessione a sua madre, datata 22 agosto 1945, di non avere la forza sufficiente per leggere quel racconto interrotto.

Un mese dopo, cominciata la lettura, non seppe più smettere.

Furono alcuni amici a cui permise di leggere degli estratti del diario a convincerlo della potenza delle parole lasciate dalla figlia, una testimonianza struggente delle recenti vicende che avevano sconvolto l’umanità.

«L’Anna che appariva a me prima era molto diversa dalla figlia che ho perso. Io non avevo idea della profondità dei suoi pensieri e delle sue sensazioni».

È in questo modo che il 25 giugno 1947, 74 anni fa, venne pubblicato il diario di Anna, cinque anni dopo quell’indimenticabile tredicesimo compleanno, in cui una bambina curiosa e incredula l’aveva toccato per la prima volta, e reso suo.

Nel 2009 il volume è stato inserito dall’UNESCO nell’Elenco delle Memorie del mondo, ispirando testi teatrali e rappresentazioni cinematografiche con argomento le terribili vicende della Shoah.

«Sarò mai capace di scrivere qualcosa di importante, lo spero proprio, perché scrivendo posso confidare alla carta tutti i miei pensieri, i miei ideali, i miei sogni».

Ne è stata capace.

Stefania Malerba
Fonte copertina da annefrank.org

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Stefania Malerba

Sono Stefania e ho poche altre certezze. Mi piace l’aria che si respira al mare, il vento sulla faccia, perdermi in strade conosciute e cambiare spesso idea. Nel tempo libero imbratto fogli di carta, con parole e macchie variopinte, e guardo molto il cielo.

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