Werner Herzog, Nosferatu e il cinema come ricerca della verità estatica
Werner Herzog è uno dei più importanti cineasti viventi, nonché uno dei maggiori esponenti del nuovo cinema tedesco.
In 55 anni di carriera ha scritto e diretto un gran numero di opere cinematografiche (più di 50) e teatrali, ha recitato come attore, ha fondato una casa di produzione e ha scritto dei libri.
Ha vinto un Premio come miglior regista per Fitzcarraldo al Festival di Cannes del 1982 e un Premio alla carriera agli European Film Awards nel 2019.
Personalità al di sopra delle righe, cineasta autodidatta, antiscolastico e sperimentatore, la sua vita avventurosa ha dato adito a numerosi aneddoti e leggende e la sua figura è divenuta un vero e proprio mito.
La città di Napoli ha voluto rendere omaggio a questo straordinario regista in due occasioni, entrambe nell’ambito delle iniziative “Muraria”: dapprima proiettando un suo documentario – Cave of forgotten dreams – nella Galleria Borbonica; poi organizzando, in collaborazione con il Goethe-Institut, un ciclo di proiezioni – “Werner Herzog, 5 film di un maestro” – effettuate presso il Multicinema Modernissimo.
Nelle cinque serate della rassegna – dal 6 al 10 giugno 2022 – un folto pubblico di spettatori partenopei ha avuto la possibilità di scoprire, riscoprire o approfondire la “cinécriture” di Herzog, attraverso il commento critico di esperti che hanno introdotto di volta in volta la visione.
Tra le cinque pellicole selezionate non potevano mancare i suoi masterpieces Aguirre furore di Dio, Fitzcarraldo e Nosferatu, il principe della notte; oltre alle opere più di nicchia Paese del silenzio e dell’oscurità e Apocalisse nel deserto.
Da amante dell’horror, ammetto che il mio preferito è Nosferatu, il principe della notte, remake del caposaldo del genere firmato da Friedrich Wilhelm Murnau nel 1922.
Rivederlo al cinema e con il commento di una professionista del calibro di Anna Masecchia, Professoressa di Cinema, fotografia, televisione all’Università degli Studi di Napoli Federico II, ha scatenato in me un tale turbinio di emozioni e di riflessioni che ho deciso di condividerle con voi malcapitati/e lettori/lettrici (aggiungete a piacere asterischi e schwa).
I vampiri esercitano da sempre un certo fascino sui registi, forse, possiedono delle caratteristiche che ricordano quelle medesime del cinema: il loro essere eterni, così come eterne sono le immagini impresse su nastro (oggi in digitale); il continuo gioco sulla presenza-assenza di riflessi, sul tema del doppio, sull’inversione delle comuni attività umane e del ciclo giorno-notte; la commistione del sovrannaturale con il quotidiano.
In Nosferatu, il principe della notte il regista ha rielaborato a suo modo il Dracula di Bram Stoker e l’antecedente di Murnau, in particolare, sovvertendo e palesando i meccanismi di fondo del secondo. Nel Nosferatu di Herzog l’azione si dilata in quadri estatici e perturbanti che trascinano gli spettatori in una terrificante allucinazione onirica.
Herzog non poteva che ricorrere al suo attore-feticcio, Klaus Kinski, per un ruolo complicato come quello di Nosferatu.
Riepiloghiamo la trama.
Jonathan Harker è un giovane agente immobiliare di una piccola cittadina lagunare del Nord-Europa, Wismar. Nonostante le previsioni nefaste della novella sposa Lucy, accetta l’incarico affidatogli dal suo superiore: dovrà partire per la Transilvania per chiudere una pratica di acquisto di un immobile con un tal conte Dracula.
Fin dal primo pernottamento nel sinistro castello, però, Harker si rende conto che Dracula nasconde qualcosa di terribilmente spaventoso. Egli è infatti un non morto assetato di sangue che lo imprigiona per risucchiare tutta la sua energia vitale, notte dopo notte.
Intanto, dopo essere rimasto folgorato dall’immagine di Lucy incastonata in un medaglione, il conte vampiro parte alla volta di Wismar per incontrare la donna.
L’arrivo dell’essere mostruoso nel villaggio porta scompiglio e morte. Lucy, dotata di un’eccezionale sensibilità e forza d’animo, sarà l’unica a comprende la causa di tutto quel male e a tentare di salvare l’amato e i suoi concittadini.
Ciò che stupisce ancora oggi nel film di Herzog è la capacità di variare e ampliare un tema già noto.
Per esempio, nell’umanizzazione estrema di Nosferatu. Il simbolo della morte e della devastazione, un essere immondo che sembra quanto di più lontano ci possa essere dall’umanità, si mostra vulnerabile all’amore.
Nell’oppressione angosciante della proprio immortalità, vissuta come una trappola, Nosferatu sembra cercare un ultimo barlume di “luce” che possa farlo sentire vivo… lo intravede nei tratti angelici e nelle sinuose forme di Lucy.
Una scena, in special modo, rimane impressa nella retina dello spettatore: l’incontro-scontro fisico tra i due, “l’amplesso di sangue” carico di tensione erotica. Eros e Thanatos si intrecciano per una notte, per poi ristabilire, all’alba dell’indomani, l’equilibrio oppositivo tra il bene e il male.
Anche la costruzione di Lucy è molto interessante. Se all’inizio del film la donna parrebbe quasi una banale incarnazione del prototipo dell’angelo del focolare, sul finale si disvela come il vero personaggio chiave della narrazione filmica.
Lucy ricorda le eroine delle tragedie greche, depositarie di valori perduti: il sacrificio, l’amore, la generosità, la sopportazione del dolore, la dedizione, l’innocenza, la giustizia.
In una società mossa dall’acritica lode della scienza e della razionalità (“i lumi” del dottor Van Helsing) o dalle azioni ingenue, ottuse ed egoistiche (di cui sono ottimi esempi il folle Renfield e Harker), solo la pura chiaroveggenza di Lucy avrà accesso alla verità.
Nel contrasto tra i diversi “tipi” rappresentati dal dottore e da Lucy possiamo inoltre scorgere l’eterna lotta tra ragione e sentimento, tra scienza e religione e, più nello specifico, tra ideali illuministi e romantici (ricordiamo che la storia è ambientata nell’800).
In Nosferatu, il principe della notte si condensano i motivi portanti della cinematografia di Herzog.
Primo fra tutti, la libertà mentale e l’autodeterminazione che spingono i personaggi dei suoi film a intraprendere un cammino di conoscenza che va oltre la mera realtà sensibile. Un percorso che tutti gli uomini, in quanto esseri dotati della capacità di dubitare, dovrebbero percorrere.
Di contro c’è l’ottusità, la grettezza di chi non si pone domande e accetta acriticamente ciò che la società vuole fargli credere.
Quella di Herzog è una poetica del sublime che va alla ricerca della verità estatica del cosmo e dell’animo umano tramite personaggi vinti, reietti e incompresi.
Ricerca ottenuta a livello visivo attraverso immagini “vergini”, originarie e traumatiche che si abbattono sullo spettatore “anestetizzato” dalle icone del mondo contemporaneo e ne risvegliano la coscienza, per condurlo oltre i limiti della ragione.
Il cinema di Werner Herzog è un’esperienza di risveglio interiore.
Giusy D’Elia
Copertina: Raffi Asdourian via Flickr | Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)
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