A lezione di psicoanalisi con Dalì, tra cassetti aperti e una giraffa in fiamme
Come ogni amore mosso dall’ammirazione, anche quello che Salvador Dalì provò per Sigmund Freud assunse i connotati della devozione mista all’ossessione.
Forza trainante della sua creatività, il padre della psicoanalisi ispirò con la sua teoria del sogno i più assurdi scenari onirici dipinti dell’artista catalano, icona surrealista del XX secolo.
E questo al punto che, passando in rassegna la sua produzione, potremmo ritrovarci a conoscere qualcosa in più sulla psicoanalisi. Iniziamo?
È il 25 Aprile 1937 quando Salvador Dalì effettua il suo check-in al Krantz-Ambassador Hotel di Vienna coltivando in cuor suo la speranza di incontrare uno dei suoi più grandi idoli. Non un artista, non uno scultore, né tantomeno un famoso regista, ma il padre della nuova disciplina psicoanalitica, Sigmund Freud.
Il bizzarro marchese di Pùbol si ritrovò così a passeggiare ininterrottamente per la città del suo beniamino per crearsi l’occasione perfetta per ottenere da lui un bramatissimo riconoscimento. Ponendo come fulcro della sua poetica l’inconscio, il sogno e l’allucinazione, l’artista mise a punto un approccio che definì “paranoico-critico”, che descrisse come un metodo di creazione spontanea irrazionale, attraverso cui il suo delirio, svincolandosi dal suo torbido inconscio, avrebbe potuto prendere forma nelle sue opere facendosi immagine e simbolo.
«Ringrazio ancora una volta Sigmund Freud e proclamo più forte che mai le sue grandi verità. L’unica differenza tra la Grecia immortale e il nostro presente è Sigmund Freud, che scoprì come il corpo umano, che al tempo dei greci era puramente neoplatonico, sia oggi pieno di cassetti segreti, che solo la psicanalisi è in grado di aprire».
Salvador Dalì in Journal d’un Génie (1964)
Il pittore degli orologi molli era incantato, quasi ossessionato dagli scritti dell’intellettuale austriaco, che rappresentarono per lui il contributo più significativo del suo linguaggio pittorico, surrealista e onirico. Freud, invece, nutriva un certo scetticismo nei confronti del movimento del quale Dalì era considerato uno dei maggiori esponenti, restando molto affascinato dai grandi maestri e conservando un gusto artistico alquanto tradizionale, lontano dalle avanguardie dei suoi tempi.
L’incontro ci fu, sì, ma solo un anno più tardi, a Londra, grazie all’intercessione del mecenate Edward James e dello scrittore Stefan Zweig, che permisero a Dalì di incontrare la sua fonte di ispirazione e presentargli la sua ultima opera, La metamorfosi di Narciso, come manifesto delle sue suggestioni artistiche.
Contro ogni aspettativa, Freud dovette ricredersi sui surrealisti, scoprendosi impressionato ed estremamente affascinato dalla personalità del giovane spagnolo, di cui notò, come si legge in una lettera a Zweig, i «candidi occhi da fanatico» e l’«indubbia padronanza tecnica».
Chissà cosa avrebbe pensato Freud della successiva produzione artistica di Dalì. Nel 1939 il fondatore della psicoanalisi si spense, mentre l’artista spagnolo sperimentava il tumulto della sua creatività, impegnato a realizzare tra le opere più fortemente penetrate da quella componente inconscia e onirica che sotto l’influenza di Freud cominciò a guadagnare terreno nell’immaginario collettivo del XX secolo.
Tra le opere più esemplificative della sua produzione a sfondo psicoanalitico troviamo Giraffa in fiamme, in cui compare per la prima volta la figura della donna dal corpo disseminato di cassetti aperti, soggetto ripreso e reinterpretato dall’artista in innumerevoli altri dipinti, disegni e statue.
In un paesaggio desolato, spettrale, ogni particolare si presenta come un presagio di morte. Un’atmosfera cupa, crepuscolare, immersa in un cielo blu intenso. Al centro, in primo piano, la femme-coccyx, una figura priva di volto, dal corpo arcuato sorretto da stampelle, trivellato in corrispondenza del seno e della gamba sinistra, mostra i suoi cassetti semi aperti.
Alla sua sinistra, un’altra donna, persino più sfigurata, i cui attributi sono ridotti a tessuto muscolare, sorregge un drappo rosso. In lontananza, l’elemento che dà un nome al dipinto, la giraffa in fiamme, un’immagine che Dalì riprende dalla sua collaborazione con Luis Buñuel per la sceneggiatura de L’Âge d’Or (1930).
Come secondo il meccanismo dello spostamento descritto da Freud ne L’interpretazione dei sogni (1899), il contenuto latente che dà significato a questo dipinto viene posto sullo sfondo, marginalmente, fuori dal centro d’attenzione della catalizzante figura centrale. La stessa giraffa che appare anche ne L’invenzione dei mostri (1937) viene descritta dall’artista come «il mostro apocalittico cosmico maschile», una premonizione di guerra.
Un’immagine apparentemente insensata per la tranquillità con cui l’animale prosegue nel suo cammino senza aver fretta di spegnere quel fuoco, che ben simboleggia le presunte contraddizioni di quell’enigma da risolvere che è il sogno.
Anche la seconda figura femminile puntellata da stampelle porta con sé un elemento estremamente significativo, quel drappo (o lembo di carne?) color sangue, un oscuro presagio, l’idea angosciante della violenza. Sebbene Dalì si dichiarasse apolitico, l’orrore della guerra aleggia tra i suoi pensieri, da un lato un richiamo alla Guerra civile spagnola che sta dilaniando il suo paese natio, da un altro una nuova, inedita tensione presagisce quello che sarà lo scoppio del Secondo conflitto mondiale.
L’artista trova nel simbolismo onirico la via d’espressione dei suoi vissuti interiori più profondi e celati, realizzando un tributo alla teoria psicoanalitica attraverso la spettrale figura protagonista che, persa nella dimensione del sogno, si dimena nello spazio con fare sonnambulo.
Un corpo che è feticizzato, una silhouette dalla femminilità esasperata che si allunga in protuberanze, sporgenze (che in Freud vengono ricondotte all’organo maschile) che vengono rette da stampelle, simbolo di morte e di resurrezione allo stesso tempo. Dall’interno di questo corpo – incarnazione della passione – fuoriescono violentemente dei cassetti semi aperti che per Dalì rappresentano quegli angoli inconsci della nostra mente a cui solo la psicoanalisi può donare accesso.
La stessa figura viene ripresa e potenziata in una serie di sculture in cui quei cassetti diventano la via d’accesso ai misteri racchiusi nel corpo femminile. Manie, desideri, perversioni, passioni e sentimenti profondi che compongono una sessualità nascosta, il segreto insondabile di ogni donna – per questo motivo raffigurata senza volto.
Emblema di una bellezza che deriva non tanto dalla forma sensuale dei suoi attributi, ma da quel senso di mistero interiore che nasce non da quanto rivela esteriormente, ma da ciò che accuratamente sceglie di nascondere…
Rebecca Grosso
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