I borghi fantasma della Campania: Apice Vecchia
“Un borgo sospeso nel tempo diventerà la Pompei del ‘900”.
Apice è un paese collinare della provincia di Benevento a 225 metri sul livello del mare, bagnato dai fiumi Ufita, Miscano e Calore.
Fondata, a soli 12 chilometri dall’odierna Benevento, probabilmente ai tempi della Roma caput mundi, da Marco Apicio che fu incaricato dal Senato di Roma di far ripartire – post campagne di guerra – alcune terre del Sannio.
Le origini romane sono testimoniate anche dalla presenza, in località Morroni, delle vestigia di un Ponte di epoca romana, denominato Ponte Rotto, facente parte della Via Appia, che collegava Roma a Brindisi e all’Oriente.
Apice si trova menzionata per la prima volta nel secolo VIII, in un diploma di concessione del Principe longobardo Grimoaldo a Montecassino “sub Apice”.
Lo stemma antico raffigurante i tre monti simbolo di Apice con le cime delle floride spighe di grano, gli venne assegnato nel 1504 – così testimonia lo storico Pacichelli – dal Re Ferdinando II d’Aragona: “il nostro comune, con il grano che produceva e conservava, alleviò la miseria che affliggeva quell’anno il Regno di Napoli”.
Sul territorio di Apice – secondo le fonti storiche – vi erano sette Castelli, dei quali ancora oggi è possibile visitare il Castello dell’Ettore, e cinque conventi: interessante è la leggenda secondo cui l’edificazione del Convento di S. Maria dell’Oliva è dovuto a San Francesco d’Assisi.
Si narra che i monaci, nello scavare un pozzo d’acqua, trovando ostacolo e non potendo rimuovere un grosso sasso, chiamarono San Francesco: il santo si curvò e con appena tre dita, sollevò il grosso macigno, facendo sgorgare acqua fresca, limpida ed abbondante.
Si accede alla fonte – tuttora esistente e “funzionante” – entrando in una grotta: sul muro destro vi è una pietra su cui è incisa la seguente epigrafe “Fonte miracolosa scatorita dal P.S. Francesco – anno salutis nostrae MCCXXII”; sul lato sinistro, invece, a ricordo del prodigio si conserva ancora il grosso macigno con le impronte delle tre dita del Santo.
Si racconta che l’acqua, abbondantissima, è alimentata soltanto da tre gocce (costante è il riferimento alla trinità) che cadono ad intervalli regolari; all’interno della fonte si scorge, scolpito sul masso, un frate con le braccia incrociate.
L’inizio della fine.
La storia del vecchio centro abitato di Apice si interrompe bruscamente alle ore 19:30 circa del 21 agosto 1962 dove due scosse di terremoto del VI e VII grado della Scala Mercalli fecero tremare il Sannio e l’Irpinia: i tecnici del Ministero dei Lavori Pubblici ne ordinarono l’evacuazione.
I suoi cittadini hanno lottato per 18 anni per rimanere tra i vicoli che avevano dato loro i natali, ma il terremoto del 1980 ha dato ad Apice ed ai suoi abitanti il colpo mortale.
“Mentre parlava così la morte l’avvolse, la vita volò via dalle membra e scese nell’Ade, piangendo il suo destino, lasciando la giovinezza e il vigore.”: Omero descrive così la morte dolorosa di Patroclo; in egual modo al protagonista ilidiaco, Apice perde la sua vita e si accascia al volere della natura e del destino.
“Tutto è rimasto com’era. Ogni cosa riprende vita ogni volta che qualcuno entra, tocca, legge, respira. Tutto è incredibile, bello da vedere.”: è la biografia del profilo instagram di Apice Vecchia https://www.instagram.com/apice_vecchia/.
Nel corso degli anni le amministrazioni comunali che si sono succedute hanno provato a valorizzare e ripristinare alcune aree della città. Apice però resta la testimonianza, l’istantanea di un’Italia scomparsa, di un’Italia che sa vivere sulle proprie macerie.
Qui la Gallery del FAI: https://fondoambiente.it/luoghi/apice-vecchia?ldc
Antonietta Della Femina
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