Narciso: il significato nascosto del mito
I miti fanno parte della storia dell’uomo sin dalle origini, ma pochi hanno influenzato il mondo come quello di Narciso.
Il giovane che si innamora della sua immagine riflessa ricorre in un numero incalcolabile di opere, dal William Wilson di Poe a Il ritratto di Dorian Gray.
Ma il mito originario, soprattutto la versione meno conosciuta di quest’ultimo, cela un significato segreto che molto spesso sfugge al senso comune.
Vediamola insieme.
Narciso, un giovane di bellezza straordinaria, rifiuta chiunque gli offra il suo amore. Allora gli dèi per punirlo per la sua arroganza lo condannano ad innamorarsi della sua stessa immagine e così, una volta vistosi in uno specchio d’acqua, Narciso affoga nell’inutile tentativo di afferrarsi.
Quante volte avete sentito il mito di Narcisio narrato in questo modo, molto spesso con la ridicolizzazione del suo protagonista, così vanesio e sciocco da morire in un modo a dir poco ridicolo?
Ma la storia del bel giovane innamoratosi di se stesso era troppo pregna di significati per rimanere chiusa nei confini di una semplice denuncia della vanità e così innumerevoli studi psicologici hanno fornito delle chiavi di lettura molto interessanti per la comprensione del suo protagonista.
Per capire questi significati nascosti, bisogna partire dalle origini poco conosciute del bel giovanetto.
Narciso era frutto di una violenza compiuta dal fiume Cefiso ai danni della ninfa Liriope, avvolta con forza dalle acque del dio mentre faceva il bagno. Dunque Narciso nasce da una violenza psicologica, da una mancanza di amore.
Proprio perché preoccupata da questa origine, la madre di Narciso andò ad interrogare l’indovino Tiresia sul destino del figlio e da lui seppe che il figlio sarebbe diventato vecchio soltanto se “non avesse mai conosciuto se stesso.”
La spiegazione più immediata delle parole di Tiresia è che Narciso sarebbe morto se avesse dato il fianco alla maledizione divina mostrando la sua vanità. In tal modo il suo destino non sarebbe potuto essere che drammatico.
Ma i miti sono la prima indagine psicologica mai fatta dagli uomini e la fine di Narciso può avere senso solo e soltanto se allarghiamo la prospettiva e notiamo un dettaglio non trascurabile: chi fa specchiare Narciso?
Ebbene, al posto della comune “maledizione divina” nel mito originario c’è una figura molto precisa che condanna il giovine: Nemesi, archetipo della vendetta.
Nemesi, vedendo che Narciso aveva portato alla morte Eco, una bellissima ninfa consumatasi nell’amore non corrisposto per lui fino a divenire una flebile voce, lo costringe a guardarsi riflesso nello stagno, quindi fuor di metafora, a guardarsi davvero per chi egli sia.
Ma per capire quanto sia importante la figura di Nemesi e la punizione inflitta a Narciso, dobbiamo fare un passo indietro e scandagliare una versione meno nota del mito, quella del greco Pausania, che approfondisce perché fin dall’inizio il bel giovane rifiutava l’amore di tutti.
In effetti, perché Narciso rifiutava l’amore di qualunque donna ancor prima di conoscerle?
Perchè lui in realtà era già innamorato di una donna.
Ebbene sì, il giovane era stato follemente innamorato di sua sorella gemella, Bucaneve, la quale però era morta in giovane età per una malattia improvvisa. Traumatizzato per quella perdita, Narciso da quel momento aveva rifiutato il contatto con qualsiasi donna, il contatto con qualsiasi sentimento.
Ed in questa nuova versione anche lo specchiarsi nel laghetto acquista un significato diverso: il bel giovane non era propriamente innamorato di se stesso, ma riflettersi nel laghetto gli restituiva l’immagine della sorella defunta e solo in questo modo il suo cuore riusciva a trovare consolazione, nell’illusione di una riconciliazione.
Narciso non può amare perché è innamorato di una donna morta. Il suo è un amore fatto di Thanatos, non di Eros. Costeggia la morte, ma non la vuole sorpassare.
Solo ora si può capire quanto è importante l’approccio di Nemesi, l’unica donna che non solo non si innamora del bel giovine, ma lo contrasta, lo costringe per la prima volta a non contemplare la sua immagine, ma a vedersi davvero.
Narciso muore nell’esatto momento in cui si vede per la prima volta ma è una morte necessaria, catartica. Non a caso il suo corpo non viene più trovato ma al suo posto sulle sponde del lago viene ritrovato il bellissimo fiore dorato dall’omonimo nome.
Paradossalmente, solo grazie alla morte Narciso trova la sua libertà, esprimendosi finalmente in tutta la sua unicità.
Il mito così ci racconta un passaggio fondamentale per la vita di tutti noi. Solo abbandonando le vecchie parti di noi possiamo davvero amare e conoscerci. Ma conoscersi vuol dire far morire quelle parti e questo processo non può escludere il dolore. Narciso alla fine c’è riuscito, ed è sbocciato.
E voi? Avete avuto o avrete il coraggio di morire per sbocciare?
Gabriel Santomartino
Fonte copertina Wikimedia Commons
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