In Irlanda l’arte paga: introdotto il Reddito di Base per le Arti
“Di arte non si mangia” è una frase che ogni artista si è sentito dire almeno una volta nella vita. Quasi sempre, tranne casi in cui grazie ad essa si è diventati miliardari, è un monito dettato dai risultati riscontrabili nella società contemporanea.
L’arte, insomma, non paga e se lo fa è certamente meno di quanto possa permettere ad un lavoratore medio una vita solida e dignitosa.
La precarietà di questo tipo di lavoro, presente in tutte le sue manifestazioni ed ambiti, è certamente uno dei motivi che porta gli artisti a cercare un impiego alternativo (che spesso diventa primario), un lavoro che permetta loro di vivere quotidianamente. Nel peggiore dei casi, invece, la precarietà reiterata diventa fonte di scoraggiamento tale da portare all’abbandono del mestiere in favore di un lavoro più sicuro.
L’avvento del Covid, inoltre, ha confermato tutti i timori dei lavoratori dello spettacolo mettendoli alla mercé della disoccupazione, della concessione di bonus statali una tantum. Dimostrando, così, totale instabilità di un ambito lavorativo e creativo che ha in sé i germi della rivoluzione sociale e culturale. La frustrazione mostrata dagli artisti durante i due anni di pandemia è stata giustificata da un senso intollerabile e quasi luttuoso di impotenza.
Proprio davanti a questo evidente limite, forse da sempre implicitamente legato alla volubilità e volatilità dell’arte, alla sua transitorietà come evento e manifestazione di estro, alcune nazioni europee si sono mobilitate per un intervento importante. Perché, per quanto l’atto creativo sia senza ogni dubbio frutto di un guizzo iniziale, così come le altre professioni si basa sulla tecnica e sulla pratica costante. La romanticizzazione del lavoro di artista è una trappola difficilmente evitabile per chi non si trova ad agire nel campo. Ma è essenziale sottolineare la quantità di fatica usurante che l’attività musicale, attoriale, di scrittura e di pittura, di scultura e architettura, è in grado di infliggere al corpo e allo spirito.
Un paese che d’arte – e soprattutto musica – vive e fiorisce è l’Irlanda. Un luogo nel mondo dove si suona ad ogni angolo di strada, dove c’è musica live in ogni pub o night club della capitale, non poteva che intervenire in modo pionieristico con una misura di rilancio della cultura e dell’arte. L’Irlanda, infatti, ha stabilito di fare da spartiacque e ufficializzare con un reddito di base il lavoro di artisti e operatori culturali.
A lanciare ed annunciare la misura è la ministra irlandese della cultura, Catherine Marin, in seguito ai danni irreparabili avvenuti a causa della pandemia. La cifra stanziata dalla politica irlandese per i lavoratori è di 25 milioni nell’anno 2022: si tratta di un gruzzolo per iniziare, far partire il programma pilota per poi estendere la misura in modo più capillare e stabile. Il programma pilota, chiamato Basic Income for the Arts (BIA, “Reddito di base per le arti”), chiede ai lavoratori di partecipare alla costruzione del programma tramite consultazioni e sondaggi online.
Si tratta dunque di una progettazione comune, di una comunità che dialoga esprimendo desideri, avanzando proposte e cercando di migliorare un futuro imprevedibile affinché cessi, se non altro, di essere precario.
Sveva Di Palma