La storia di Caligola, l’imperatore più pazzo di Nerone!
Grazie ai film, e primo fra tutti il meraviglioso Quo Vadis, il personaggio di Nerone è entrato di prepotenza nell’immaginario comune come la rappresentazione più emblematica della follia imperiale.
Dopo Cesare non c’è persona che non abbia per lo meno sentito nominare le sue atrocità commesse contro i cristiani, come i pubblici martiri attraverso furiose belve.
Ma, curiosamente, si parla poco di un altro imperatore, che si macchiò di crimini egualmente orrendi ma a cui furono sufficienti soltanto quattro anni, contro i quindici di Nerone. Solo quattro, eppure sufficienti per circondarlo della fama nera di mostro disumano.
Oggi parleremo di Gaio Giulio Cesare Augusto Germanico, meglio conosciuto come Caligola, per via delle calzatura che era solito portare.
Di certo non si poteva entrare nelle famiglie influenti della Roma dell’epoca senza una buona dose di traumi e violenze, e il piccolo Gaio Cesare non costituisce certo un’eccezione.
A soli sette anni assistette alla morte del padre Germanico avvelenato a tradimento, probabilmente dallo stesso impertatore dell’epoca, Tiberio. Successivamente la stessa mamma Agrippina fu condannata a morte da Tiberio, instillando in lui un rancore sordo e profondo.
Cresciuto fra i soldati durante le campagne militari del padre, era da questi molto amato e alla morte dell’odiato Tiberio, contro il suo testamento, Caligola fu acclamato dalle truppe e dal popolo come vero restauratore della libertà e nuovo princeps.
Bisogna dire che nei primi anni Gaio Cesare si premurò di accattivarsi le simpatie del popolo romano. Secondo lo storico Gaio Svetonio, nei primi tre mesi del suo principato l’intero popolo romano fu costantemente in festa e vennero sacrificati in suo onore più di centocinquantamila animali.
Feste, corse di cavalli, banchetti gratuiti ed elargizioni pubbliche di denaro. Tutto sembrava andare nel migliore dei modi. Ma nessuno comprese che quei fasti erano resi possibili solo dall’ingente patrimonio conservato nelle casse statali del suo predecessore. Infatti ben presto, esaurito l’intero tesoro in meno di un anno, la situazione cambiò radicalmente.
Caligola iniziò a indire tasse su tasse su qualunque aspetto della vita, dal cibo, ai matrimoni, alla prostituzione. E per assicurarsi che nessuno potesse ribattere, le fece pubblicare in luoghi isolati, in modo che molti si ritrovarono multati per somme di denaro spropositate dall’oggi al domani, e non potendole sostenere, in molti si suicidarono.
Instillò in tutti un tale terrore che moltissimi iniziarono a nominarlo erede nel proprio testamento e l’imperatore, ritenendo indegno che dopo aver fatto ciò fossero ancora vivi, inviò ai loro domicili dei cibi avvelenati.
Ben presto cominciò a manifestare simpatie per l’adorazione dei monarchi orientali e così fece portare dalla Grecia le sacre statue degli dei Olimpici e fece sostituire le loro teste con la sua.
Cominciò a uccidere senza pietà ogni oppositore ed è ben noto l’aneddoto in cui scoppiò a ridere davanti a due senatori senza apparente motivo e quando questi gli domandarono il perché di tale ilarità, Caligola spiegò che rideva perché ad un suo cenno sarebbero potuti essere sgozzati all’istante.
Per umiliare ancora di più i senatori, fece conferire la carica di sacerdote al suo cavallo preferito, e arrivò anche a minacciare di nonimarlo console, la massima carica di magistrato romano.
Ma la parte sicuramente più disturbante era la libido sfrenata che lo colpì per le sorelle, prima fra tutte Drusilla, a cui fece anche tributare onori divini dopo la sua morte.
Si complimentava per la bellezza delle mogli dei suoi commensali durante i banchetti e in più di un’occasione accompagnava queste donne nelle stanze adiacenti per poi tornare ai banchetti come se nulla fosse accaduto.
Attirò con queste e altre mille nefandezze un tale odio su di sé che fu chiaro a tutti il suo squilibrio mentale, superiore a chiunque altro avesse governato su Roma.
Fu massacrato assieme alla sua famiglia alla sola età di 28 anni, mentre il quarto regno del suo impero non era ancora concluso. Fu condananto alla damnatio memoriae, ovvero la distruzione di ogni effige o legge lo riguardasse, affinché di lui non ci fosse nemmeno il ricordo.
Ma l’eco della sua leggenda nera è comunque giunta fino a noi, per ricordarci ora e per sempre le possibili e tragiche conseguenze di un potere assoluto.
Gabriel Santomartino