Il doppio in letteratura: una presenza costante e straniante
Alcune tematiche hanno accompagnato l’uomo in ogni secolo della sua storia, variando in mille forme eppure rimanendo sempre uguali a se stesse.
Ne possiamo contare diverse come l’amore, la vendetta, la gelosia e la morte. Ma fra queste la tematica del doppio presenta una tensione vibrante mai risolta a pieno in nessun’opera e proprio per questo si presenta a noi come uno dei temi più affascinanti.
La consapevolezza della frammentarietà dell’animo umano si è presentata a noi molto prima del 900’ con le sue rivoluzionarie teorie psicoanalitiche.
Già i Greci vi avevano contribuito grandemente con la loro insistenza sulla separazione fra logos ed eros, fra la ragione e la potenza dionisiaca ed incontrollabile del sentimento.
E proprio Euripide con la sua tragedia Elena fornirà uno dei più antichi esempi del doppio.
In questa versione assistiamo ad una totale riabilitazione della figura di Elena, che risulta essere fedele al suo sposo e la responsabilità della guerra di Troia ricade piuttosto sul suo “eidolon” (letteralmente, dal greco, “immagine”).
L’immagine, creata dalla dea Era, è una semplice illusione priva di vera vita. In quest’opera, che vira molto più sulla tragicommedia, la sua utilità narrativa consiste nel far confondere il povero Menelao, convinto a torto di aver trovato sua moglie per poi apprendere ch’ella è sparita come una nuvola.
Una presenza che dovrebbe suggerire un effetto comico, eppure già con la sola, silenziosa presenza, l’imago di Elena inizia a creare quello straniante ed inquietante sensazione che è alla base della tematica del doppio.
La falsa Elena è a tutti gli effetti responsabile della morte di migliaia di uomini, tutti morti per una pura illusione. Il doppio ha causato devastazione pur senza essere in possesso di una volontà propria.
Allora cosa succede quando il nostro doppio dimostra non solo di avere una precisa volontà, ma spesso anche più forte della nostra?
È quello a cui provò a rispondere il grande Edgar Allan Poe col suo strabiliante racconto William Wilson.
In questo meraviglioso scritto il giovane Wilson racconta la sua sregolata giovinezza, i suoi problemi con l’alcol ed il gioco d’azzardo, ma soprattutto i suoi conflitti con un altro giovane a lui omonimo e perfettamente identico in ogni tratto, salvo che per il tono di voce, più basso.
Questo secondo William Wilson sembra fare di tutto per contrastare il protagonista. Ne copia le movenze e lo mette in imbarazzo con chiunque, svelandone le più segrete turpitudini. Esasperato, il vero William finisce con l’ucciderlo, riconoscendo solo alla fine di avere ucciso se stesso.
Qui il doppio rappresenta la parte più giudicante di Wilson. Infatti il contrasto fra i due cresce sempre più mano a mano che aumenta la degradazione morale del vero Wilson.
Nella totale cecità dinanzi ai suoi vizi, il protagonista non può accettare di fare i conti col suo alter ego, con quella voce bassa eppure così penetrante e onnipresente. L’unica soluzione a tale confronto è l’omicidio-suicidio.
La morte come soluzione del dissidio si ritrova anche nel romanzo più famoso con la tematica del doppio, Lo strano caso del Dottor Jekyll e del signor Hyde di Stevenson.
Ma qui non vorremmo soffermarci sull’arcinota trama del romanzo, quanto su un dettaglio che stupisce chiunque non abbia letto l’opera originale.
L’aspetto di Hyde è passato alla memoria collettiva come quello di un mostro orripilante con pelo, zanne e dimensioni abnormemente grandi.
Ma niente di tutto ciò è frutto della penna di Stevenson. Il doppio del mite dottor Jekyll nella storia non è altro che un uomo comune, addirittura più basso, con la sola peculiarità di conservare negli occhi un’espressione di crudeltà assoluta.
In realtà non è un caso che nell’immaginario comune è passata più facilmente l’dea inventata di un alter ego d’aspetto mostruoso che quella di un uomo assolutamente normale, perché la seconda è molto meno rassicurante.
Inoltre le stesse trasposizioni cinematografiche hanno ingigantito molte volte la bontà d’animo del dottor Jekyll, mostrandolo come vittima sempre più inerme del doppio Hyde.
Ma la verità è molto meno manichea e nel romanzo il dottore rivela con molta chiarezza che quegli impulsi anormali gli erano sempre appartenuti e ben presto è proprio lui a non controllare più il desiderio di trasformarsi. Lui, non il suo doppio.
Perché confrontarsi col proprio doppio significa guardare l’abisso che era già in noi, dare libero sfogo a quegli istinti che la ragione cerca invano di tenere sotto controllo ma che non possono essere sedati, bensì solo guardati e accettati prima che sia troppo tardi.
E tu, avrai il coraggio di guardarti allo specchio?
Gabriel Santomartino
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