Salviamo il professor Ahmadreza Djalali prima che sia troppo tardi
Il ricercatore innocente Ahmadreza Djalali sarà giustiziato in Iran per impiccagione. Continuano ad arrivare da ogni parte del mondo gli appelli per salvarlo.
È il 2016 quando Ahmadreza Djalali, medico e docente iraniano-svedese, ricercatore di medicina delle catastrofi, si reca in Iran su invito dell’Università di Teheran e Shiraz per partecipare ad una serie di seminari. Qui viene arrestato senza un mandato o un valido motivo. Due settimane dopo viene accusato di spionaggio e collaborazione con Israele.
Dopo 9 mesi di ingiustificata detenzione, per mancanza di prove, Djalali viene condannato a morte per ifsad fil-arz, “corruzione sulla terra”.
Nel 2018 la TV iraniana manda in onda la sua confessione, che in seguito si rivelerà essere un testo preparato e recitato dal medico sotto minacce.
La reclusione in carcere prosegue. Djalali viene ripetutamente spostato in luoghi che restano sconosciuti alla sua famiglia e, spesso, ai suoi stessi avvocati.
Nel 2019 viene gravemente torturato. Le sue condizioni fisiche, già precarie, peggiorano per la situazione disumana in cui si trova a vivere, ma non gli viene concesso di accedere a nessun tipo di cura medica.
«Secondo precedenti racconti forniti da Djalali, le condizioni nelle celle di isolamento sono inaccettabili, con solo 180 cm × 180 cm di spazio, niente finestre e niente mobili. La cella è altamente antigienica, con solo 3 vecchie coperte che dovevano essere utilizzate come materasso, cuscino e riparo dal freddo. Le celle sono sporche e piene di formiche e scarafaggi» ha riportato Amnesty International, che da sempre si batte nel tentativo di salvare la vita di Ahmadreza. Ma non solo.
A sostegno di Djalali sono arrivati aiuti da tutto il mondo, a partire dagli esperti di diritti umani delle Nazioni Unite che già nel 2017 avevano fatto formalmente appello al governo iraniano affinché si ottenesse la liberazione del detenuto. Anche il parlamento europeo, nel 2019, ha richiesto il rilascio di Djalali a meno che il medico non fosse stato nuovamente processato secondo gli standard internazionali.
Nemmeno il mondo intellettuale è rimasto in silenzio: 121 premi Nobel hanno scritto direttamente al leader supremo iraniano Ayatollah Ali Khamenei, chiedendo la scarcerazione del professore.
In difesa della libertà di espressione si sono mosse Scholars at Risk, rete internazionale che promuove la libertà accademica, la European University Association e diverse università, tra cui quella del Piemonte dove Djalali ha svolto un ruolo fondamentale con la creazione del Centro di Ricerca in Emergenza e Disastro.
Le azioni messe in campo finora non hanno ottenuto esito positivo. L’esecuzione prevista per lo scorso 21 maggio è stata rimandata, ma non annullata.
Ahmadreza potrebbe essere giustiziato in qualsiasi momento.
Maria Paola Buonomo
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