Boris 4, un antidoto alla società della performance
Dai, dai, dai! Boris 4 è finalmente disponibile su Disney+: si torna a ridere con la strampalata troupe de Gli Occhi del cuore.
Era il 2007 quando uscì la prima stagione della serie televisiva Boris – scritta e diretta da Mattia Torre, Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo – che racconta il dietro le quinte della televisione con sarcasmo e arguzia. La serie è poi diventata un cult, dilungandosi per altre due stagioni e sfociando in un film uscito nelle sale nel 2011.
Dopo ben 15 anni dall’esordio, arriva Boris 4: un revival che apre un nuovo capitolo sulle avventure dei personaggi che hanno appassionato e influenzato una generazione.
La serie si compone di 8 episodi da mezz’ora l’uno, già tutti disponibili su Disney + per un binge watching.
In Boris 4 ritroviamo tutti gli storici personaggi alle prese con la realizzazione di un adattamento della “Vita di Gesù”, idea avuta da Stanis La Rochelle (Pietro Sermonti) che, oltre ad essere l’attore protagonista è anche il produttore e il fondatore della So Not Italian Production, insieme a Corinna Negri (Carolina Crescentini), divenuta sua moglie.
La serie in produzione è destinata alle piattaforme globali che hanno sostituito la tv generalista. Questo cambiamento mette a dura prova la troupe che, nonostante la resistenza al nuovo, deve assoggettarsi a un codice comportamentale sia davanti sia dietro alla macchina da presa.
Al giorno d’oggi un prodotto audiovisivo deve avere internazionale e, soprattutto, deve rispondere alle logiche dell’Algoritmo.
Il Vangelo va dunque conformato ai paradigmi della modernità per raggiungere un pubblico vasto. Come? Abusando del politically correct! Ed ecco che la tradizionale vita di Gesù viene stravolta con trame teen e diversity a gogò, tra apostoli omosessuali e “non tutti necessariamente caucasici”.
Il mondo raccontato da Boris 4 è mutato rispetto alle stagioni passate, ma non l’indole dei suoi personaggi né le dinamiche interne al gruppo.
Come al solito, Stanis e Corinna si atteggiano a star dello spettacolo con boriosità e richieste assurde, con la differenza che la Negri è meno “cagna” nella recitazione e il suo amato complotta contro di lei mettendo in crisi il matrimonio.
Alessandro (Alessandro Tiberi) è diventato il responsabile della piattaforma europea, ma nonostante ciò i suoi ex compagni faticano a riconoscere il suo ruolo e continuano a maltrattarlo come “Seppia lo schiavo”.
Arianna (Caterina Guzzanti) è sempre l’irreprensibile e rigida assistente del regista, ma in questa nuova stagione deve confrontarsi con una vita privata intricata e con il difficile compito di garantire il rispetto del codice comportamentale sul set.
Sergio Lopez (Antonio Catania) ha fondato una casa di produzione (QQQ) con il cugino calabrese Michele (Giuseppe Piromalli), un camorrista che ha inserito i suoi nel cast in qualità di comparse.
Duccio Patané (Ninni Bruschetta), il maestro dello “smarmellamento” ha fatto fortuna a Bollywood sulle spalle di Lorenzo (Carlo De Ruggieri), mente e braccio della fotografia in incognito.
Biascica (Paolo Calabresi) e l’immancabile trio di sceneggiatori (Valerio Aprea, Massimo De Lorenzo, Andrea Sartoretti) sono i personaggi rimasti più fedeli alle prime stagioni. Il capo elettricista persevera nel suo linguaggio colorito ed eticamente scorretto che si scontra con le norme del codice; gli sceneggiatori, fannulloni scanzonati, elaborano il soggetto tra una partita e l’altra ai video games.
Ritornano anche altri volti noti (Sergio, Mariano, Karin, Martellone, Glauco, Cristina) e si introducono nuove figure, come quella di Allison (Emma Lo bianco), executive manager della piattaforma.
Non manca, poi, l’omaggio a chi non c’è più: Roberta Fiorentini interprete di Itala e lo sceneggiatore Mattia Torre, entrambi scomparsi nel 2019.
E René Ferretti (Francesco Pannofino)? Ovviamente presente! Non c’è Boris senza di lui e il suo iconico pesce rosso. Lo abbiamo lasciato per ultimo volutamente.
In questa epica del fallimento, nella quale tutti si muovono a tentoni in un labirinto senza via d’uscita cercando di sopravvivere alla bell’e meglio tra sotterfugi e intrighi, René è uno spiraglio di luce.
È lui il vero protagonista, l’unico a credere ancora nella libertà d’espressione artistica e nella possibilità di realizzare un prodotto di qualità. Ferretti compie una scelta anticonformistica, opponendosi ai meccanismi schiaccianti del sistema.
Il ritorno della serie non va considerato semplice fan service. È innegabile, come è stato fatto notare da alcuni critici, che Boris 4 ripropone un medesimo canovaccio in un’altra salsa, ma è anche vero che se non fosse stato così si sarebbe snaturata. Anzi, la staticità che qualche spettatore può aver percepito è ancora funzionale alla costruzione di un ambiente claustrofobico privo di scampo.
In Boris 4 non troviamo sbalorditivi cliff hanger o trame strizzacervelli alla Christopher Nolan, poiché lo scopo della serie è sempre stato quello di rappresentare, in uno specchio deformato che amplifica i difetti, la “commedia umana” e le sue idiosincrasie.
La quarta stagione non delude le aspettative, prosegue nella stessa direzione e ingloba in sé le problematiche sociali contemporanee.
Precariato giovanile, identità di genere e questioni linguistiche di genere, razzismo e tutela delle minoranze, digitalizzazione e nuove figure professionali ad essa legate, gap generazionale, anglomania: questi i temi attuali che entrano a far parte dell’universo “borisiano”.
Nonostante la serie sia sorta in un contesto specifico – la golden age delle fiction e dei reality tv – Boris 4 non ha perso nemmeno un briciolo della sua verve.
Al contrario, si è adattata ai mutamenti ed è riuscita a sondarli, con la lucidità e corrosiva ironia che l’hanno sempre contraddistinta. La sua satira è spietata, non risparmia niente e nessuno, e si sofferma soprattutto sugli effetti collaterali della glocalizzazione digitale dell’audiovisivo.
L’ironia di Boris, però, non si traduce mai in comicità frivola, bensì si fa strumento di smascheramento, avvicinandosi alla definizione pirandelliana di umorismo quale mezzo critico capace di cogliere la frattura tra realtà e apparenza e di rivelare il “sentimento del contrario”.
Il segreto di Boris, tra gli altri, risiede anche nella sua componente metacinematografica che permette anche agli spettatori di conoscere i retroscena del mondo dello spettacolo e di sfatarne i miti. Altro che soldi a palate, fiumi di champagne, jet privati e red carpet, in questo cast regnano la “locura” e la mediocrità.
‘Mediocrità’ è la parola chiave per comprendere il motivo principale per cui Boris ha ancora tanto da offrirci.
Nella società della performance, in cui siamo tutti ingabbiati nella giostra sociale dell’ostentazione e del miglioramento a ogni costo, Boris esalta il peggio senza vergogna, restituendoci una visione prosaica della vita, senza fronzoli e imbellettamenti, con un linguaggio tanto virulento quanto verace.
Abbiamo bisogno di Boris 4 come antidoto alla nociva perfezione propinata dai social, per ricordarci che – come rivendicano Willie Peyote e Michela Giraud nel brano “Fare schifo” – “fare schifo è un diritto” che almeno ogni tanto possiamo concederci senza sentirci in colpa.
Boris 4 è promossa a pieni voti: è esilarante e si lascia guardare con piacere, è pungente e critica al punto giusto, si arricchisce di rimandi intratestuali e intermediali e… sicuramente darà l’avvio a una catena di tormentoni e meme.
Non si esclude una quinta stagione, ma si sa: è l’Algoritmo a comandare!
Se non l’hai già fatto, te ne consigliamo vivamente la visione. Ma non rimandare troppo…gli spoiler sono dietro l’angolo.
Giusy D’Elia
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