Cabinet of Curiosities, l’antologia (quasi) horror di Guillermo del Toro
Disponibile su Netflix dal 25 ottobre, la serie di 8 inquietanti episodi racconta diverse storie, di cui due ispirate a Lovecraft.
Il premio Oscar Guillermo del Toro, produttore esecutivo e ideatore della serie L’Armadio delle Meraviglie, è stato accompagnato in questo ambizioso progetto da diversi registi che hanno già familiarità col genere horror, come David Prior (The Empty Man), Keith Thomas (Firestarter) e Jennifer Kent (The Babadook).
L’armadio sinistro che dà il nome alla serie è un oggetto inusuale, spiegato dallo stesso del Toro all’inizio del primo episodio: in passato, quando viaggiare era un lusso per pochi, questi “gabinetti delle curiosità” (Wunderkammer) rappresentavano i predecessori dei musei moderni. Contenitore d’arte e di stranezze provenienti da tutto il mondo, nella serie l’armadio viene aperto all’inizio di ogni episodio, ciascuno rappresentato da oggetti diversi.
Ed è Guillermo del Toro stesso ad introdurre le storie, ricordando molto il maestro del terrore Alfred Hitchcock nella sua serie per il piccolo schermo (Alfred Hitchcock presenta).
Ma pochi sono gli episodi davvero all’altezza del genere horror: più che impaurito, lo spettatore spesso si sente inquietato e (purtroppo) confuso di fronte a trame deboli e una scrittura banale. Fortunatamente, questo non vale per tutte le storie.
Dopo un primo episodio zoppicante, un secondo e terzo quasi degni di nota, L’apparenza riesce finalmente a coinvolgere e lasciare un senso di vera paura ed “orrore” di fronte ad un mondo molto vicino al nostro. Diretto da Ana Lily Amirpour e basato su un fumetto di Emily Carroll, la protagonista di questa storia viene metaforicamente (e letteralmente) fagocitata dai “miracolosi” prodotti dell’industria della bellezza, facendole perdere ogni caratteristica umana fuorché, appunto, l’apparenza.
Ed ecco finalmente arrivare i due episodi ispirati ai racconti di H.P. Lovecraft, Il modello di Pickman e I sogni nella casa stregata, diretti rispettivamente da Keith Thomas e Catherine Hardwicke, con i volti di Ben Barnes e Rupert Grint a fare da protagonisti. Se il primo riesce, nella sua inspiegabilità della malvagità umana, a far fede alla dimensione più inquietante e misteriosa delle atmosfere lovecraftiane, la trasposizione della casa stregata non convince del tutto, sempre per quella piattezza stilstica che ha caratterizzato anche i primi episodi.
Dopo un settimo episodio abbastanza riuscito, per la tensione e la particolare scelta d’ambientazione e fotografia in stile anni ’80, si arriva al gran finale con una storia scritta dallo stesso del Toro e diretta da Jennifer Kent. In Il brusio a far da padroni non sono mostri e atmosfere sinistre, ma il dolore, la malinconia ed il lutto. Il dramma familiare della protagonista, che vive una vera e propria catarsi a fine episodio, coinvolge ed emoziona, senza per questo rinunciare alla dimensione orrorifica che permea il progetto.
Vale la pena, quindi, vedere Cabinet of Curiosities? A tempo perso sicuramente sì, ma senza troppe aspettative. A non deludere sono sicuramente la fotografia e la scenografia, che richiamano molto dello stile fantastico di del Toro, con atmosfere cupe e creature spaventose (anche in CGI) che cercano di supportare (se non compensare) tutto il resto.
Sicuramente l’amore del cineasta messicano per Lovecraft continua a far parlare: è di pochi giorni fa la pubblicazione di immagini inedite sul suo film mai realizzato ispirato a Le montagne della follia. Che sia questo un indizio sulla sua prossima pellicola?
Elena Di Girolamo
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