Ci hanno sempre detto di essere “troppo” e “troppo poco”
Quante volte ci sentiamo dire di aver sbagliato.
Quante volte abbiamo sentito più forte il dovere di sottostare e non il diritto di sentirci all’altezza.
Ci hanno sempre detto di essere poco intelligenti rispetto agli uomini, e che per questo saremmo sempre rimaste un passo indietro, incapaci di dedicarci allo stesso tipo di studi.
Ma pensiamo ad Alice Ball (1892-1916), la prima donna, nonché la prima afroamericana a laurearsi in chimica all’università delle Hawaii, colei che con i suoi studi ha scoperto la cura per una malattia al suo tempo considerata incurabile: la lebbra.
Pensiamo a Sofia Ionescu (1920-2008), donna dalle mani grandi e ferme e con il sogno di diventare neurochirurga. Sogno indecente in un’epoca in cui la medicina non era pensata per le donne, poco intelligenti per essere ammesse a quel tipo di studi. Ma Sofia si laurea e nel periodo di volontariato durante la Seconda guerra mondiale si presenta la sua occasione: arriva un ragazzo con gravi ferite alla testa. È lei a salvargli la vita e dopo di lui, una lunga carriera gli ha dato modo di salvarne tante altre.
Ci hanno sempre detto di essere troppo deboli, che l’istinto di agire non ci appartiene e che il coraggio è una cosa da uomini.
Ma pensiamo a Nadia Murad (1993), cittadina di Kocho, in Iraq, rapita a soli diciannove anni, insieme ad altre donne, dai terroristi dell’Isis, mentre vedeva morire la sua famiglia.
Con un po’ di fortuna Nadia è riuscita a scappare e a trasferirsi in Germania. Consapevole che il silenzio non avrebbe aiutato le ragazze come lei, trova il coraggio di far sentire la propria voce: racconta la sua storia ai giornalisti, parla davanti alle Nazioni Unite e grazie alla sua testimonianza i leader di tutto il mondo sono venuti a conoscenza delle terribili violenze commesse dai combattenti dell’Isis.
Ricordiamo Qiu Jin (1875-1907), costretta a un matrimonio combinato e infelice, sposa di un uomo che non amava e che la considerava una nullità. Al suo tempo sorsero in Cina diversi gruppi rivoluzionari di cui Qiu desiderava essere parte. Così lasciò il marito e si trasferì in Giappone dove venne a conoscenza dei diritti delle donne. Tornata in patria fondò il Giornale delle donne cinesi, esortando la popolazione femminile a rovesciare la dinastia Qing. Aprì anche una scuola che ufficialmente formava maestri di sport ma che, in segreto, addestrava rivoluzionari.
Qiu Jin si è sempre rifiutata di fuggire, mostrandosi disposta a morire per la sua causa: è stata giustiziata divenendo così eroina nazionale e simbolo dell’indipendenza femminile in Cina e nel mondo.
In Liberia, Leymah Gbowee (1972), ha avuto il coraggio di lottare per porre fine alla guerra civile. Ebbe modo di partecipare a una conferenza organizzata dalla Rete dell’Africa occidentale per la costruzione della pace, dove le donne ebbero modo di condividere le proprie esperienze. Così Leymah fondò un’associazione chiamata Rete delle donne per la costruzione della pace e reclutò donne da ogni luogo, stanche di una guerra non voluta e che portava via i loro figli. Tutte le donne della Rete fecero pressioni sulle fazioni in guerra affinché avviassero colloqui di pace tanto che, quando la guerra è giunta al termine, Leymah ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace, affermando che “Quando le donne si riuniscono, accadono grandi cose”.
Ci hanno sempre detto che la donna non ha la stoffa del leader e che a capo c’è uno spazio da riservare soltanto all’uomo.
Boudicca (33-61), intrepida regina, a ventotto anni condusse la tribù degli Iceni in battaglia. L’imperatore romano, Nerone, decise che nessuna donna poteva governare un’area soggetta al controllo romano e mandò le sue truppe a soggiogare i Britanni. Nobili iceni furono uccisi o imprigionati, la regina fu costretta a camminare nuda in strada e le sue figlie vennero frustate.
“Non combatto per il mio regno e per i miei averi, adesso combatto come una persona qualunque per la mia libertà perduta, per il mio corpo offeso e per le mie figlie oltraggiate”.
Boudicca giurò vendetta per l’umiliazione subita e condusse un attacco contro il potente Impero Romano: il suo esercito mise a fuoco la città di Colchester, distruggendo il tempio di Claudio e uccidendo migliaia di romani. Altri Britanni si unirono a lei e quando giunse a Londra il suo esercito contava centinaia di migliaia di soldati, tutti fedeli alla regina ribelle. Per il suo coraggio e la sua forza è diventata simbolo dello spirito combattivo dei Britanni e delle donne.
Ci hanno sempre detto cosa non possiamo e non siamo in grado di fare, senza dirci mai che in realtà possiamo fare tutto.
Quante donne hanno creduto a tutto questo, e quante donne ci credono ancora. Vittime di un pensiero che da sempre ci considera di genere inferiore, vittime di quegli uomini che non hanno mai imparato cosa vuol dire “amare”.
Senza conoscerne il significato, spacciano l’amore per sottomissione, per possessione, per oppressione. E la donna è intrappolata, soffocata da un rapporto che la tiene in catene, dove ogni forma di violenza le frantuma corpo e cuore.
Spesso a spegnersi con lei è anche la sua voce, quella con cui potrebbe difendersi e gridare aiuto. Ed è la società in cui viviamo a tappargli la bocca, in cui il pregiudizio viene prima di tutto.
“Se l’è cercata”, dicono, “è giusto così”, concludono.
Ma giusto per chi? Per cosa?
Per un pensiero radicato che ci vuole zitte e obbedienti, che ha sempre cercato di tarparci le ali, di spegnere i nostri sogni, di piegare la nostra intelligenza e negarci la cultura.
Abbiamo in realtà il coraggio di credere che in noi c’è una forza che ci rende capaci di affrontare tutto, c’è un uragano di emozioni che ci fa vivere, una mente e un’anima che possiamo arricchire in qualunque modo e delle capacità che possono condurci verso orizzonti lontani, e a realizzare tutto ciò che volevano farci credere impossibile.
Dobbiamo convincerci di non avere nessuno da accontentare se non noi stesse, di avere libertà di scegliere, di apparire e di essere.
Ci hanno creduto Nadia, Qiu, Leymah. Come loro ci hanno creduto tante altre. Ispirandoci a loro, può crederlo ognuna di noi.
Possiamo avere più di quanto crediamo di meritare, e ciò che meritiamo è l’amore nel suo vero significato: “questa è la mia mente, il mio corpo, la mia anima, e io sono pronta a condividerlo con te”.
Maddalena D’Angelo
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