Cinema e politica, cinque classici politically engaged da vedere
Sono stati e sono tuttora innumerevoli i registi politically engaged che hanno utilizzato il cinema come strumento di analisi sociale e di lotta politica, evidenziando sul grande schermo le contraddizioni e i conflitti sociali di un determinato periodo, le crisi interne ai movimenti rivoluzionari.
I film di carattere politico sono tali poiché anche al di là del contenuto manifesto, a livello formale riescono, senza la pretesa di trovare delle soluzioni, (il finale resta infatti spesso aperto) a mantenere vivo lo spirito critico dello spettatore spingendolo ad interrogarsi, a porsi delle domande scomode verso una presa di coscienza fondamentale nella prospettiva storica marxista di poter cambiare qualcosa.
Ma scopriamo adesso alcuni film diversi tra loro e più e meno recenti, divenuti dei cult nel loro genere: si tratta di pellicole che restituiscono tutte in modo diverso uno spaccato storico di quelli che sono stati e sono per certi versi alcuni dei problemi inerenti la lotta di classe, le diseguaglianze e l’alienazione come effetti del capitalismo, i rapporti spesso sottili e confusi tra borghesia e proletariato e tra cultura e politica.
Non possiamo che partire con un classico del cinema impegnato: parliamo della Corazzata Potëmkin del cineasta e teorico russo Sergej M. Ėjzenštejn, film del 1925. La pellicola mostra un episodio storico ossia l’ammutinamento dei marinai, in seguito ai maltrattamenti da parte degli ufficiali di bordo zaristi, della corazzata russa Potemkin nel più ampio contesto dei malcontenti che sfoceranno nella rivoluzione del 1905.
Il film si può inserire nella trilogia composta da Sciopero (1925) prima pellicola del regista e da Ottobre del 1927.
Padre del cosiddetto montaggio intellettuale, Ėjzenštejn, attraverso la messa in scena di situazioni collettive di conflitto e un uso sapiente del contrappunto di immagini e suoni, riesce a mantenere viva l’attenzione dello spettatore sui concetti politici dei suoi film, che in ultima istanza possono essere sintetizzati nella presa di coscienza politica.
Altro film cult se parliamo di cinema e politica è Metropolis (1927) del regista austriaco Fritz Lang. Considerato unanimemente il modello di gran parte del cinema fantascientifico successivo, il film ci trasporta nel 2026 ossia cento anni dopo la sua uscita ed è ambientato in una futuristica e dinamica città, Metropolis.
Mentre dall’alto dei loro grattacieli, alcuni ricchi imprenditori ed uomini d’industria detengono il potere governando senza scrupoli, una massa di operai-proletari è costretta a lavorare senza sosta all’interno di “cantieri” nel sottosuolo di Metropolis.
Proprio dalle viscere della metropoli prenderà vita e sfocerà il malcontento e la ribellione degli operai che, inizialmente guidati dalla dolce insegnante Maria, sogneranno l’avvento di una sorta di Messia, un mediatore che porrà fine alle iniquità dello sfruttamento capitalistico.
Lang, regista visionario, riesce a ritrarre splendidamente le condizioni reali degli operai e le contraddizioni del capitalismo ma soprattutto emerge chiaramente la dialettica della rivoluzione e il suo sfociare facilmente negli estremi del culto del capo e della violenza rivoluzionaria che si diviene carneficina.
Altro film di cui non possiamo non scrivere è Prima della rivoluzione (1964) di Bernardo Bertolucci.
Ambientato a Parma nel 1962, il film ci racconta di Fabrizio, studente proveniente da un’agiata famiglia borghese, che milita nel Partito Comunista italiano.
Seguiamo così le giornate di Fabrizio, trascorse tra discussioni politiche con i compagni e passeggiate con l’affascinante zia Gina di cui è innamorato; lentamente ma inesorabilmente il giovane, anche in seguito alla morte di un suo amico e al ritorno a Milano della zia, si renderà conto della difficoltà di conciliare la vita borghese con le sue aspettative di carriera, matrimonio e figli con i suoi personali ideali e progetti rivoluzionari.
Quasi alla fine del film infatti, parlando con un suo compagno, Fabrizio concluderà che tutto il suo lottare e militare nel partito è stato un “prima della rivoluzione” lasciando intendere che questa non avverrà mai da parte sua perché gli anni della gioventù devono cedere il passo alla vita che lo aspetta da rispettabile uomo borghese.
Il quarto film che qui vogliamo proporre è La classe operaia va in Paradiso (1971) diretto da Elio Petri. Un classico del cinema italiano impegnato, il film ci mostra l’alienazione, la frustrazione e l’impotenza dell’operaio Ludovico Massa detto anche Lulù.
Lulù lavora da oltre dieci anni alla fabbrica B.A.N., è sottoposto dai padroni assieme ai suoi compagni a dei ritmi di lavoro spossanti senza alcuna sosta, si sveglia la mattina quando è ancora buio e torna a casa quando fuori è già notte; la pellicola ci mostra senza sconti e in tutta la sua durezza il lavoro alla catena di montaggio.
Lulù, lavoratore infaticabile è a tal punto alienato e dissociato dalla realtà a causa delle sue sfiancanti giornate di lavoro da non riuscire a riconoscere lo sfruttamento a cui è sottoposto; è sordo agli appelli e alle manifestazioni degli studenti che fuori alla fabbrica esortano gli operai ad unirsi e sollevarsi contro i padroni.
Soltanto in seguito ad un incidente in fabbrica a causa del quale perderà un dito, comincerà a prendere consapevolezza della sua vita infelice e del suo insistente tempo libero, schierandosi con i radicali contro i sindacati.
Anche per questo film vale la pena ricordare l’emblematico finale, Lulù in fabbrica sovrastando con la sua voce il rumore infernale delle macchine, racconta ai suoi compagni un suo sogno dal valore evidentemente simbolico in cui la classe operaia, una volta spaccato ed oltrepassato un muro, sarebbe andata in Paradiso.
Ultimo film, non certo per importanza, è Snowpiercer (2013) diretto da Bong Joon-ho. La pellicola è ambientata in un futuro post-apocalittico, precisamente nel 2031, l’umanità è collassata in seguito ad una glaciazione provocata da alcuni esperimenti finiti male per arrestare il cambiamento climatico; i sopravvissuti portano avanti la specie e vivono a bordo di un treno, lo Snowpiercer che è perpetuamente, senza sosta o meta, in movimento; il che appare essere già un primo richiamo al sistema socio-economico del capitale che si reitera costantemente.
Il treno costituisce una metafora della società capitalistica, i passeggeri sono suddivisi in classi sociali, i più poveri in fondo al treno sono continuamente vessati dai militari e trattati alla stregua di schiavi, mentre i più ricchi vivono nel lusso più sfrenato nelle prime carrozze del treno.
La situazione di oppressione genera numerose lotte e ribellioni sempre sedate violentemente; il film segue il crescente malcontento e risentimento di un gruppo di ribelli e il conseguente tentativo sovversivo.
Nel corso del film scopriamo come il treno funzioni come un vero e proprio sistema chiuso apparentemente inaggirabile, i passeggeri “borghesi” vengono costantemente indottrinati sulla cieca necessità di perpetuare questo sistema in quanto unica chance di sopravvivenza per l’umanità; a cercare una possibile alternativa al treno della crudeltà organizzata saranno i ribelli che dal fondo del treno tenteranno ancora di dare una nuova svolta al percorso prestabilito.
Benedetta De Stasio
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