Reddito di cittadinanza e l’Italia, l’amore dura tre anni: nascita e declino di una passione
Il Reddito di Cittadinanza, detto e conosciuto da molti come Rdc, ha avuto una vita politica breve ma intensa. Una storia, quella tra il sussidio e l’Italia, lunga quanto una storia d’amore media secondo lo scrittore francese Frédéric Beigbeder: tre anni.
Implementato nel 2019 dal Governo Conte I, il sussidio è stato uno dei cavalli di battaglia del Movimento 5 Stelle, salito in Parlamento durante quello stesso anno e simbolo – per alcuni – di un vero e proprio cambiamento all’interno del Parlamento italiano.
Si tratta di un provvedimento riconosciuto dal governo come ammortizzatore sociale, in quanto fornisce un reddito minimo garantito a tutti coloro che rispettano determinate caratteristiche. Non si è mai trattato di un lusso o di un modo per arricchirsi, provvedendo principalmente ai propri bisogni secondari, ma un veicolo per garantire ai meno fortunati una vita dignitosa. Le somme percepite dai cittadini vanno dai 400 euro ai 680, stabilendosi su una media nazionale di 500 euro al mese.
L’Rdc del Governo Conte è stato molto discusso, principalmente dall’opposizione e da Fratelli d’Italia, venendo spesso bollato come un incentivo per i percettori del Sud Italia a smettere di lavorare, “rubando” i soldi statali. Il Sud, per motivazioni di “questione meridionale” ancora aperta e fondamentalmente mai risolta, conta un numero di percettori decisamente superiore al Nord Italia. Solo la Campania, secondo una raccolta dati, nel marzo del 2022 contava tanti percettori quanto l’intero settentrione. Dati che, purtroppo, hanno sempre sembrato confermare in parte le parole dei partiti polarizzati a destra, come la già citata Meloni con i suoi Fratelli d’Italia. La misura, tuttavia, non ha mai convinto nemmeno a sinistra, con il PD sempre in conflitto riguardo la sua utilità. La Lega, dapprima in combutta con Conte, ha finito con lo sventolare dalla parte dei Fratelli.
A corroborare la sostanziale controversia riferita al sussidio, sono stati i molteplici casi registrati di truffa in cui i percettori non rispettavano le caratteristiche predefinite per poter ricevere l’indennità. Quella che è nata come una misura socioeconomica con lo scopo di offrire pari dignità a tutti i cittadini è diventata, dunque, il principale motivo di divisione e dibattito tra partiti. L’Rdc, infine, si è trasformato nel campo di battaglia della politica italiana, perdendo del tutto il suo incentivo iniziale.
La triste storia dell’Rdc si conclude un po’ come la parabola discendente dell’ M5S, ovvero con l’esemplificazione contenuta nel famoso detto “Tanto rumore per nulla”. Lottare e sostenere la misura assistenziale è stato frutto di una fascinazione momentanea e passeggera, implosa con il ritorno “all’ordine” nazionale con i risultati delle ultime elezioni e l’insediamento della premier Giorgia Meloni al Governo.
La storia d’amore tra l’Italia e l’Rdc – breve ma passionale come una cotta estiva – anche una data di scadenza, un po’ come quei matrimoni suggellati nelle cappelle profane di Las Vegas durante una notte di bagordi nella città della perdizione. Anche il nostro paese, risvegliatosi dal sonno della prima notte di nozze e ancora sofferente dai postumi della sbornia, si è guardato allo specchio chiedendosi: “Ma cosa ho fatto?”.
Una serie di misure vagliate dal Governo Meloni serviranno da palliativo per l’ineluttabile sparizione del Reddito già a partire dal prossimo anno. Nel 2024, data di morte annunciata, il sussidio cesserà di esistere nella forma in cui abbiamo imparato a conoscerlo e (non) amarlo. Ma i primi a dover rinunciare torneranno alla “normalità” già nel 2023, con l’apporto delle prime modifiche.
A partire dal primo gennaio 2023 le persone tra i 18 e 59 anni abili al lavoro e che non abbiano nel nucleo familiare disabili, minori o persone a carico con almeno 60 anni d’età ed escluse le donne in gravidanza, avranno diritto al reddito per altri otto mesi. Per sei mesi è prevista la partecipazione a un corso di formazione o di riqualificazione professionale. In mancanza, decade il beneficio del reddito. L’assegno andrà perso anche nel caso in cui si rifiuti la prima offerta di lavoro considerata congrua. Il sostegno continuerà a essere erogato fino a fine 2023. A partire dal 2024 sarà introdotta una nuova forma di sussidio destinata a poveri e fragili, ma nel frattempo i percettori si troveranno a subire controlli e verifiche molto più severi.
L’ M5S di Conte riuscirà a cambiare le carte in tavola? Solo la storia riuscirà a rispondere in modo soddisfacente a questa complessa domanda.
Sveva Di Palma
Illustrazione di Sonia Giampaolo
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