Stand-up comedy, dalle donne per non solo donne
La storia del teatro ci ha sempre indicato figure femminili bistrattate o tenute ben distanti dalle scene.
L’esclusione muliebre che parte dal teatro delle origini dell’antica Grecia si è perpetuata fino a Shakespeare, con pochissime eccezioni o sprazzi di scrittura femminile.
Durante gli anni del proibizionismo proliferò nell’ambiente dei night club il primo tipo di spettacolo da stand-up comedy, con la conseguente nascita di comedy club.
La caratteristica dello spettacolo è da ricercare nel rapporto che il comico instaura con il pubblico, sollecitandolo e solleticandone la riflessione di fronte a vizi o a stereotipi che ne caratterizzano la quotidianità.
Attualmente la scena comedy è dominata da donne che sdoganano il pregiudizio maschilista di quanti ritengono la donna non divertente, troppo impegnata ad essere piacente, per affermare un modello di femminilità irriverente.
Ironia e sarcasmo padroneggiano la scena per riflettere su stereotipate immagini di relazioni, gravidanza e maternità, omosessualità o femminismo e per ciascuna tematica si attraversano i confini del politicamente corretto.
La fragorosa risata generata in platea ha qualcosa di amaro, il gusto della verità e della consapevolezza di quanto alcune parole possano incrinare le poche certezze che si hanno nella vita.
Alcune delle figure di spicco della stand-up comedy femminili compaiono come artiste impegnate nel ruolo, autrici ed interpreti delle proprie battute. Tra queste Ellen DeGeneres, ha più volte richiamato l’attenzione non solo per gli spunti filantropici dei propri monologhi, ma anche per la sua sfacciataggine, giudicata da molti quasi vicina alla cattiveria.
Le sue diatribe con diversi personaggi emergenti del mondo dello spettacolo, tuttavia, confermerebbero il suo carattere non proprio semplice.
Hannah Gadsby con lo show Nanette ha proposto una visione su tematiche omosessuali ed omofobiche, vissute sulla sua pelle, invitando il pubblico bianco ed eterosessuale a riflettere sullo status di tensione che bisogna affrontare in determinate situazioni di stress.
La performance per quando profonda ed introspettiva, non ha omesso battute divertenti per smorzare i toni e sciorinare con più serenità gli argomenti prescelti.
Sulla scena italiana Terapia di Gruppo di Chiara Becchimanzi è una riflessione in divenire su aspetti psicologici non trascurabili, trova nell’intervento del pubblico un riferimento grazie al quale regolare i livelli di emotività ed ilarità del proprio discorso.
L’effetto che bisogna ottenere sul palco deve essere quello di ascoltare una persona fidata, durante un monologo che presenti a tratti dei voli pindarici, ponendoci per qualche momento dall’altra parte dello specchio.
Allora cosa aspettarsi dopo una rappresentazione teatrale?
Certamente di potersi immedesimare anche nel punto di vista femminile, prendendo le distanze dal dominio scenico maschile, per cogliere in modo altrettanto valido la precarietà e le incertezze in ottica dissacrante.
Alessandra De Paola
Leggi anche: Otello una gelosia che non si arresta