Tra dominio dell’immagine e mito dell’oggettività: cosa Oriana Fallaci può insegnarci oggi sul giornalismo
Nell’epoca della ricerca dell’immagine perfetta e del processo dell’oggettività sembra essersi perso di vista l’obiettivo principale per cui si raccontano gli eventi: l’accendere una scintilla, condividere una riflessione, un modo di leggere gli eventi accaduti alla luce dello studio dell’uomo e di come si comporta.
Diamo quindi uno sguardo alla Fallaci, che con la sua penna ha saputo trasmettere i propri pensieri, prima come giornalista e poi come scrittrice.
Video virali di bombardamenti, sparatorie, carri armati.
Telegiornali, Instagram, Facebook.
Tutti i media possibili per due tre settimane hanno urlato solo un nome: Ucraina.
Parlo di urlo perché di ciò si trattava: una gara a chi urlava più forte la notizia. A chi aveva gli effetti speciali migliori per condirla.
Dopo di che silenzio radio, calma piatta: l’hype dell’ultima notizia è finito, andate in pace. Rendiamo grazie al mordi e fuggi.
Di fronte a un giornalismo sempre più legato alla notizia veloce e d’effetto guardare a personalità come Oriana Fallaci, può insegnarci qualcosa sul vero giornalismo di guerra (e sul giornalismo in generale).
Lo so, l’ho visto su Instagram
«In televisione il sangue sembra il mio smalto rosso»
Oriana parla delle immagini di guerra mediate dalla TV. Oggi parliamo di quella social, ma il concetto fondamentale resta il medesimo: i media non danno una visione completa della guerra.
La Fallaci parla innanzitutto della mancanza di un’esperienza sensoriale, di odori e di rumori che, con la loro assenza, fanno apparire il tutto come un qualsiasi film d’azione.
Inoltre i reporter non dispongono sempre della possibilità di girare liberamente per il campo e per le zone coinvolte nel conflitto. Sono spesso limitati ad aree circoscritte dove filmano quelle poche immagini che poi riproporranno fino alla nausea.
Tutte grandi esplosioni e scene ad alto impatto che ci scandalizzano fino a quando un giorno, aprendo Instagram, non ci fanno più alcun effetto.
Le immagini sono importanti, certo; tuttavia, come tutti i mezzi di comunicazione hanno limiti ed affidarvisi in modo esclusivo non è sicuramente la scelta giusto.
Obiettivo centrato: anestetizzare alla notizia
A questo punto subentra una seconda problematica: l’interesse di finanziatori e governi.
Senza pensare a complottismi, è noto che i governi o alcuni finanziatori di mezzi di comunicazione tentino di mantenersi il più neutrali possibile ed è quindi nel loro stesso interesse renderci poco sensibili o reattivi a notizie shock.
Assistiamo al dolore altrui come se non fosse vero. Un’altra guerra, altri morti e altri rifugiati, altra sofferenza. Tutto un grande film d’azione di cui mi dimenticherò dopo poco.
L’informazione mediata da immagini non può che favorire questo processo ed è quindi nel totale interesse della politica sponsorizzarla e mantenerne una facile fruizione.
Qual è quindi la Vera informazione?
A questo punto viene da interrogarsi su come informarsi e dove si possa trovare la verità, l’informazione oggettiva.
Come ci insegna la Fallaci, da nessuna parte. Perché nessuna narrazione, per quanto tenti di essere fedele ai fatti, sarà mai priva di influenze terze.
Non è quindi l’oggettività che il lettore deve cercare ma piuttosto la riflessione, un parere. Si un parere, perché ogni evento suscita pensieri e riflessioni ed è giusto e utile condividerli.
Da parte sua il giornalista deve avere il coraggio di uscire dall’ottica dell’iper-oggettività: smettere di temere che tra le righe della notizia possa trasparire una sua idea, ma nel tentare anzi di trasmetterla nel modo più trasparente possibile. Non è forse questo il bello di poter narrare qualcosa (sì, anche in ambito giornalistico)? Fornire fatti ma anche riflessioni su di essi. Dare il proprio unico contributo che possa imprimersi nella mente delle persone. Questo è quello che tenta di comunicarci Oriana e che a mio parere andrebbe recuperato.
Citando Letteratura e giornalismo di A. Papuzzi: «alla radice della notizia non ci sono i fatti bensì le emozioni che i fatti suscitano».
Alla radice del giornalismo di Oriana c’è sempre stata un’idea: «L’unica onesta soluzione è raccontare ciò che io ritengo verità».
La soggettività quindi, ma una non-oggettività dichiarata e la scelta di portare alla luce alcuni aspetti. La volontà di incidere chi legge con le proprie riflessioni.
Questo è ciò che credo che questa grande giornalista possa insegnare noi. Scuotere il lettore invece di passivizzarlo.
Raccontare una guerra in modo che quel sangue, che in TV sembra smalto, riconquisti l’odore e la vividezza della sua violenza originaria.
Sofia Seghesio
Leggi anche: Parità di genere e giornalismo: nel 2021 la stampa è ancora maschilista