FUAN e il potere delle parole attraverso i miti
In risposta alla protesta sollevata dal FUAN in merito alla schwa, definita una storpiatura della lingua italiana in salsa gender, mi sono voluta ricollegare al mito delle Danaidi di Eschilo, che già nel 463 a.C., aveva ben chiaro il rapporto di reciproca influenza tra lingua e società.
Evidentemente, a distanza di circa 30 secoli ha ancora qualcosa da insegnare.
È un ottobre come tanti in quei di Torino quando in alcune sedi dell’Università compaiono, tra i milioni di adesivi, quelli del FUAN (gruppo giovanile del MSI, partito neofascista di destra).
Tieni pulita la tua università
Questa è la frase che vi campeggia, accompagnata dal simbolo della schwa color arcobaleno e barrato di rosso.
A condire il tutto il video pubblicato poco dopo sulla pagina Instagram del movimento, in seguito alle contestazioni di diverse associazioni universitarie e non proprio in merito all’inaccettabilità di quel tipo di adesivi:
«Mainstream e sinistra sono sempre pronti a scatenare polveroni per difendere stupidaggini come lo schwa, ma non per discutere dei reali problemi quotidiani degli studenti, che non fanno lo stesso scalpore.»
La lotta contro il solito ritornello del doversi occupare dei problemi veri e non di asterischi si combatte ormai da tempo.
In casi come questi tuttavia, viene da chiedersi se non si stia militando per una di quelle celebri battaglie di Don Chisciotte.
Non riconoscere l’influenza del linguaggio nella formazione della percezione del mondo, nonostante i diversi studi psico-sociali in merito, è a mio parere indice di una forte miopia dei meccanismi sociali.
Il linguaggio influenza il nostro modo di concepire lo spazio ed il tempo: nessuno ci dice di dover ordinare gli elementi da sinistra a destra, ma se si è europei probabilmente questo è proprio quello che accadrà.
Questo per via del modo con cui fin da piccoli siamo stati abituati ad organizzare le parole su un foglio.
La lingua che parliamo ha effetto anche sulle nostre stesse percezioni.
Gli eschimesi, che come è noto hanno ben sette modi per indicare il colore bianco, avranno meno difficoltà a distinguere tra le varie sfumature del suddetto colore rispetto ad un europeo.
In caso reputaste questi aspetti della vita relativamente poco importanti, allora sappiate che il nostro modo di organizzare una frase può avere impatto anche sul determinare la colpevolezza o l’innocenza di un individuo.
Di fronte alla scena di un vaso rotto per errore da qualcuno, lingue come l’inglese direbbero “Lui ha rotto il vaso”, altre come lo spagnolo preferirebbero “Il vaso si è rotto”. Costrutti diversi che mettono in risalto aspetti differenti della vicenda e che possono guidare il ragionamento verso verdetti molto diversi.
Non roba da poco, insomma.
Il dibattito in merito al tema del linguaggio è vecchio come il mondo ed affonda le sue radici nell’antica Grecia, dove alcuni pensatori già iniziavano ad avanzare riflessioni ancora sorprendentemente attuali.
Tra gli avveniristici pensatori del periodo c’è Eschilo, che ne Le Supplici -una tragedia facente parte di una trilogia- ci regala preziosi spunti di riflessione sul significato di democrazia e su come certe volte il linguaggio rappresenti il primo ostacolo al raggiungimento dell’uguaglianza.
La trama è abbastanza semplice.
Le cinquanta figlie di Danao, fratello del re Egitto, fuggono in terra greca per scampare al matrimonio con i figli d’Egitto.
Lì chiedono asilo al re di Argo, un diritto inviolabile per chiunque, come loro, si trovasse nel recinto sacro.
Vista la ritrosia del re, che teme una guerra con i figli d’Egitto, le Danaidi minacciano di impiccarsi nel luogo sacro.
A quel punto il re decide di allargare l’ardua decisione all’assemblea di tutti i cittadini, cui si reca con Danao (ovviamente le figlie in quanto donne non erano ammesse).
Qui Danao tenta il tutto per tutto, sostenendo il diritto all’essere protetti dalla propria comunità come diritto inviolabile di ogni essere vivente.
Il bisogno che Danao ha di specificare ogni essere vivente è indicativo di come questi sia assolutamente consapevole dei rischi di mal interpretazione naturali nella sua lingua, perché connaturate alla società in cui vive. La frase ogni uomo equivale solo agli uomini, anche se non lo si specifica esplicitamente.
È evidente quindi come già Eschilo, molti secoli fa, fosse in grado di capire i profondi problemi in seno alla sua società e contestualmente alla sua lingua e tentasse di porvi rimedio con i propri mezzi e possibilità.
Il FUAN argomenta in una nota la necessità di difendere la dignità e la purezza della lingua italiana, chiamando in causa Dante e D’Annunzio.
Mi sembra dunque d’obbligo sottolineare la causa per cui ancora oggi questi nomi vengono celebrati e ricordati.
Proprio quel Dante citato dagli attivisti come padre della lingua italiana è lo stesso ad averla completamente innovata e sconvolta.
In un periodo storico dove l’unica lingua reputata degna era il latino, Dante si oppone difendendo fermamente la nuova lingua volgare.
Non si è limitato a cambiare qualche minimo particolare, ma ha dato vita a una nuova lingua.
Resta inconcepibile come, dopo anni di riflessioni e di sforzi per evidenziare il nesso lingua-società, alcuni individui si ostinino a negarlo.
In una realtà sicuramente più consapevole e democratica di quella greca è inaccettabile rifiutare la possibilità di inserire forme linguistiche più rappresentative.
Mutare il linguaggio con cui una società è stata descritta, allargandolo a nuovi orizzonti, è parte del processo di mutamento di una cultura ed è fondamentale. Il linguaggio è identità.
Di fronte a una tale influenza della lingua sul nostro modo di pensare e di plasmare la percezione della realtà è ottuso ritenere un cambiamento rivolto all’inclusività, privo di senso o un semplice capriccio in salsa gender.
Sofia Seghesio
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