I Sillabari: racconti di cose e romanzo di vita
Racconti da leggere e tenere sempre a portata di mano, tra gli scaffali e nel cuore: sono così i Sillabari di Goffredo Parise, autore novecentesco e padre di una scrittura e di uno stile fortemente personale e facilmente riconoscibile.
La sua attività di scrittura si intreccia a quella di Italo Calvino, non solo temporalmente, ma anche per mezzo di fusioni e contrasti nelle tematiche e nello stile.
Parise è stato autore di numerosi romanzi di grande calibro ma la sua vera essenza vive e traspare dai Sillabari, specchio della sua esistenza e dei suoi obiettivi: indagare i sentimenti umani osservando attentamente le cose della vita e i loro dettagli.
Si tratta di cinquantaquattro racconti suddivisi in Sillabario n.1 e Sillabario n.2, pubblicati inizialmente sulla terza pagina del “Corriere della Sera” e poi in volume: il primo nell’ottobre del 1972 per Einaudi e il secondo nel marzo del 1982 per Mondadori.
All’uscita del Sillabario n.1 nel 1972, Parise scrive: “Un giorno, nella piazza sotto casa, su una panchina, vedo un bambino con un sillabario. Sbircio e leggo: l’erba è verde. Mi parve una frase molto bella e poetica nella sua semplicità, ma anche nella sua logica. C’era la vita in quel “l’erba è verde”, l’essenzialità della vita e anche della poesia”.
Tra queste parole si coglie l’essenzialità dei racconti di Parise, che sembrano ritagliare porzioni di esistenza contratte fino a sembrare l’incipit o il riassunto di un romanzo, ma che al momento della lettura si diffondono rivelando una miriade di significanze.
Ed è una semplicità che si riflette anche nello stile: l’autore dichiara esplicitamente di provare una forte esigenza di parole semplici, poiché avverte che gli uomini del suo tempo più che di ideologie hanno disperatamente bisogno di sentimenti.
Il suo obiettivo, infatti, è quello di scrivere cose che tocchino i sentimenti degli uomini, guardare attentamente le cose della vita e i dettagli fisici delle persone per indagarne e scoprirne il carattere e i sentimenti.
Per questo assume un indispensabile valore il “vedere”, verbo chiave dei Sillabari, che emerge in tutte le sue combinazioni e che trasforma i racconti in un vero e proprio repertorio di cose viste. È un gioco di sguardi frutto di una totale immersione nelle cose.
L’attenzione ai dettagli si riflette in precise descrizioni fisiche dei personaggi, con una particolare attenzione al colore degli occhi, dei capelli e allo stile di abbigliamento, ma soprattutto nella presenza di numerosi oggetti, con una duplice valenza: essi sono specchio del reale ma non solo, spesso rappresentano il fulcro del racconto, l’elemento attorno a cui esso stesso ruota e senza il quale non ci sarebbe alcuno sviluppo.
Il focus, quindi, è posto sulle cose, su borsellini scricchiolanti, simbolo di ingiustizia sociale e del fluire del tempo, su pattini a rotelle che rimandano alla libertà, gambe di legno che incupiscono il racconto, vere e proprie zone di luce che rivelano l’essenza e il significato del testo.
Nell’avvertenza al Sillabario n.2, nel 1982, Parise scrive: “[…] dodici anni fa giurai a me stesso, preso dalla mano della poesia, di scrivere tanti racconti sui sentimenti umani, così labili, partendo dalla A e arrivando alla Z. Sono poesie in prosa. Una prima parte, fino alla F, è stata pubblicata da Einaudi dieci anni fa e si unirà a questi in autunno; il resto, il più grosso, esce qui ora. Dalla M alla lettera S, nonostante i programmi, la poesia mi ha abbandonato. E a questa lettera ho dovuto fermarmi. La poesia va e viene, vive e muore quando vuole lei, non quando vogliamo noi e non ha discendenti. Mi dispiace ma è così. Un poco come la vita, soprattutto come l’amore.”
L’autore ci consegna innanzitutto un’interpretazione del testo, conducendo il lettore verso una predisposizione emozionale. Infatti, in uno spazio esiguo e di poche righe utilizza ben quattro volte il termine “poesia”, definendo categoricamente il genere a cui i suoi testi vanno ricondotti: poesie in prosa.
E la funzione poetica si addensa principalmente nei finali dei racconti, dove la narrazione lascia spazio alle riflessioni sul tempo, sulla sua fugacità e sulla brevità della vita.
Tutto scorre lungo il corridoio del tempo, fortemente connesso all’elemento nostalgico. I testi sono pieni di imperfetti, passati remoti, perché tutto è ricordo: sembra che il narratore spii dall’esterno il suo passato, lasciando emergere la sua memoria e la sua immaginazione.
Celata tra le righe dei Sillabari, infatti, è tracciata la vita di Parise, che spesso ricopre il ruolo di personaggio. È un percorso che si rende evidente anche dalla linea di cesura che divide Sillabario n.1 e Sillabario n.2: il primo mostra amore nei confronti della vita a differenza del secondo in cui si percepisce perlopiù un sentimento di turbamento.
È un cambiamento che emerge anche dall’atmosfera dei racconti, nella prima parte caratterizzata da una luce rosea, paesaggi folti e colori nitidi e che nella seconda si incupisce lasciando spazio a paesaggi aridi e polverosi, avvolti da una luce gialla e invasi spesso da piogge calde e torrenziali.
Quell’atmosfera iniziale, quindi, che potremmo definire di gaiezza, non solo sembra attenuarsi sempre di più, ma procede in maniera decisa verso l’elemento del male, del dolore e della morte. Ed è un incupirsi che sfocia anche nell’asprezza dei temi e in un radicale cambiamento dei personaggi che risultano imbruttiti e caratterizzati dalla presenza di gravi deformazioni fisiche che rispecchiano la condizione di vita dell’autore.
Il Sillabario n 2, infatti, si colloca, come stesura, nell’arco temporale tra il 1972 e il 1980, anni in cui la situazione privata di Parise è contraddistinta dalla malattia, a causa di gravi problemi cardiaci che uniti all’esperienza della dialisi lo condurranno alla morte nel 1986.
Per questo nel Sillabario n.2 si perde quella gaiezza e quel piacere di vita che vengono sostituiti da un profondo senso di morte.
I due Sillabari, quindi, si uniscono e si fondono in un unico percorso, che più che racconti sembra porci dinanzi a dei capitoli, partendo da un inizio positivo che si estende e si conclude con un epilogo tragico.
Il capolavoro dei Sillabari è il romanzo della vita, di Parise, ma anche della nostra, scrigno di sentimenti e sensazioni che appartengono a ognuno di noi. È un’evoluzione che scandisce il nostro tempo: l’infanzia, l’innamoramento, le riflessioni sulla vita e sul suo divenire e il senso di morte che spesso ci assale e fa prevalere il dubbio e l’incertezza.
È un lavoro che fonda le sue radici nella fusione tra due componenti: sociale ed esistenziale, un’indagine sui sentimenti umani in cui ritrovare la nostra storia e la nostra interiorità.
Maddalena D’Angelo
Leggi anche: Metrofobia che orrore la poesia!