How to get away with Cicerone, seconda parte
In questo articolo abbiamo raccontato la carriera politica di Cicerone negli anni di maggiore successo e ci eravamo fermati proprio alla congiura dei catilinari, un episodio che in un certo senso sancisce l’inizio del declino del prestigio di Cicerone come oratore e come uomo politico.
In questa seconda parte vedremo come Cicerone sia stato travolto dalla storia.
La sua ideologia politica oramai non aveva più spazio in una Roma che si stava già preparando ad abbandonare la Repubblica. Le sue abilità oratorie saranno messe al servizio delle grandi personalità della storia finché saranno giudicate utili, salvo poi sacrificare l’uomo nel momento in cui gli interessi politici lo richiederanno.
Ma facciamo un passo indietro e torniamo al 63 a.C. quando a Roma si svolse il processo ai congiurati, divenuto un pretesto per uno scontro politico. I populares, rappresentati da Cesare, ritenevano che non fosse opportuno condannare a morte cittadini romani così influenti e che sarebbe stato meglio portarli al confino, per sottoporli a un secondo processo in tempi più tranquilli.
Al contrario, i conservatori, ovvero gli optimates, rappresentati da Catone, richiedevano la pena capitale. Questa seconda proposta prevalse. Cicerone, allora console, fece giustiziare i condannati in carcere, commettendo l’errore, che sconterà in seguito, di non dar loro la possibilità, prevista dalla legge, di appellarsi ai comizi popolari.
Lo stesso anno, Cicerone, sempre in qualità di console, dovette affrontare il problema della legge agraria, ovvero la proposta di redistribuire i terreni pubblici. Cicerone, costretto a prendere una posizione, poiché era stato eletto grazie al sostegno degli optimates, si espresse in loro favore. La legge non passò e questo gli provocò, ovviamente, l’avversione dei populares.
Nel 60 a.C., in occasione del primo triumvirato, si era rifiutato di collaborare con Cesare e Pompeo, ritenendo entrambi una minaccia alle istituzioni repubblicane. Tuttavia, la politica lo travolse suo malgrado. Nel 58 a.C. il tribuno Publio Clodio, partigiano e luogotenente di Cesare, fece approvare una legge che disponeva l’esilio per chiunque avesse fatto eseguire una condanna capitale senza l’appello ai comizi popolari. Questa legge era stata pensata apposta per mandare in esilio Cicerone che, nel 58 a.C. fu costretto a partire per l’Epiro, mentre le sue proprietà venivano confiscate.
Grazie all’interessamento di Pompeo e di alcuni amici, Cicerone riuscì a tornare a Roma un anno e mezzo dopo e, in quell’occasione, pronunciò discorsi di ringraziamento al Sensato e al popolo.
Per un po’, Cicerone si illuse di poter sostenere ancora gli antichi ideali repubblicani; scrisse l’orazione Pro Sestio, in cui difese il tribuno che aveva caldeggiato il suo ritorno, parlando del consensus omnium bonorum, ovvero dell’accordo di tutti i cittadini onesti volto alla salvaguardia delle istituzioni, minacciate dai particolarismi e dagli attacchi dei populares.
Ma il triumvirato aveva ormai troppo potere e Cicerone dovette piegarvisi nel momento in cui Pompeo e Cesare vollero servirsi della sua eloquenza per i suoi scopi. Scrisse infatti l’orazione De Provinciis Consularibus, nella quale sostenne la necessità di prolungare il consolato di cesare in Gallia nonostante nessuna legge lo prevedesse.
Abbattuto dalla situazione politica generale, Cicerone ridusse dunque la propria partecipazione e si dedicò alla scrittura di opere letterarie, come il “De Oratore”.
Ma ancora una volta, la situazione politica lo coinvolse nonostante i suoi tentativi di restarne fuori. Nel 52 a.C, durante un tumulto in piazza, il tribuno Clodio fu ucciso da una banda armata comandata da Annio Milone.
Nei disordini che ne seguirono, Pompeo fu eletto console unico e Cicerone fu costretto a pendere le difese di Milone durante processo. Tuttavia, il discorso che pronunciò non aveva nulla a che vedere con le sue prove oratorie precedenti: sconclusionato, pronunciato con voce tremante, non riuscì a scagionare Milone.
Dopo essere partito per la Cilicia, come voluto da Pompeo, Cicerone tornò a Roma nel 49 a.C., quando ormai la guerra civile era alle porte. Sia Cesare che Pompeo avrebbero voluto avere Cicerone dalla propria parte mentre lui, assolutamente contrario alla guerra, avrebbe preferito non schierarsi affatto.
Questo non gli fu possibile e, alla fine, decise di propendere per Pompeo, in quanto esponente di quell’aristocrazia senatoria alla quale si era sempre appoggiato. Seguì i pompeiani in Grecia, ma non fu presente a Farsalo, dove Pompeo fu sconfitto definitivamente; qualche mese dopo, rientrò da solo a Brindisi abbandonando la guerra e i combattenti al proprio destino.
Cesare decise di concedere il perdono all’oratore, ormai fuori dal gioco della politica, certo di poterne sfruttare le qualità oratorie in funzione dell’esaltazione della propria clemenza. Infatti, negli anni 46 e 45 a.C., Cicerone compose numerose orazioni, nelle quali la figura di Cesare appariva come quella del salvatore della res publica.
Ma la dittatura di Cesare, nella quale Cicerone non poteva vedere altro se non odiosa tirannia e tradimento degli ideali repubblicani, e il dolore per la morte della diletta figlia Tullia, portarono Cicerone a decidere di ritirarsi a vita privata. In poco più di un anno, Cicerone compose la maggior parte delle proprie opere filosofiche e retoriche.
In seguito alle Idi di marzo del 44, però, fini per essere risucchiato di nuovo dall’interesse politico. L’assassinio di Cesare gli aveva dato l’illusione di poter tornare alle antiche istituzioni repubblicane.
Quando Antonio e Ottaviano si fecero avanti, pretendendo l’eredità del defunto dittatore, Cicerone prese le parti di Ottaviano, attaccando violentemente Antonio in quelle celebrazioni chiamate “Filippiche”. Fu un grave errore.
Quando nel 43 a.C. Antonio e Ottaviano si allearono, stipulando il “secondo triumvirato”, riesumarono l’usanza, in auge ai tempi di Silla, di proscrivere i propri nemici personali condannandoli a morte. Ovviamente, il primo nome della lista di Antonio fu proprio quello di Cicerone.
Ottaviano, che pure aveva forti obblighi verso di lui, non fece nulla per aiutarlo. E così, raggiunto a Formia mentre tentava di imbarcarsi per la Grecia, Cicerone fu ucciso da sicari di Antonio il 7 dicembre del 43 a.C.
Nadia Rosato
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