Lucilio, il re della satira romana
Mi ha sempre divertito pensare alla satira romana come una stand-up comedy ante litteram. La satira era proprio la forma d’arte con cui letterati si scagliavano contro vizi della società, contro politici e personaggi influenti, con toni ironici e divertenti.
Tra tutti gli autori di satire, Lucilio è universalmente riconosciuto come il maestro assoluto del genere. Infatti, sebbene non sia stato lui a far nascere la satira a Roma, ne ha definito una volta per tutte le tematiche e le regole formali ed espressive, che sono rimaste invariate fino all’epoca imperiale.
Ma quali sono i temi principali nelle satire di Lucilio?
Innanzitutto, la critica sociale e politica. Lucilio si scaglia polemicamente contro i vizi della società contemporanea e non di rado sfocia nell’attacco personale, sbeffeggiando e attaccando direttamente politici o personaggi illustri, approfittando della libertà di parola conferitagli dall’amicizia che lo legava all’influente famiglia degli Scipioni.
Nel libro I, il console Lucio Lentulo Lupo, avversario degli Scipioni, viene accusato di essere colpevole della rovina di Roma. Durante un concilio degli dèi, in un’evidente parodia dei poemi epici, si svolge un vero e proprio processo al console. Prendendo in giro l’ingordigia dell’uomo, gli dèi per punirlo, decidono di farlo morire di indigestione.
“Ma che aspetto, che faccia ha quell’uomo?
Tale aspetto, tale faccia, morte, itterizia, malvagità.
Caro Lupo, le sardine ti ammazzeranno e il ragù di siluro.
Lo attirerò a cena e filetti di tonno, come primo, ai convitati offrirò, nonché teste di lupo”.
(vv. 36, 37, 46 e 49)
Un altro tema ricorsivo è la quotidianità. Fatti di cronaca, processi, banchetti tra amici e viaggi, sono utilizzati come occasioni per evidenziare vizi o eccessi della società contemporanea, utilizzando sempre versi di scherno.
Inoltre, ben attestato nella satira luciliana è anche il tema dell’amore, analizzato nella manifestazione del matrimonio e dell’eros libero. Anche in questa occasione, la satira di Lucilio non manca di assumere connotazioni politiche.
In un frammento del ventiseiesimo libro, approfondendo i fastidi e le disgrazie che discendono dal matrimonio e dalla generazione dei figli, Lucilio sembra fare il verso a un discorso tenuto dal censore Q. Cecilio Metello Macedonico, che avrebbe voluto imporre a tutti le nozze e la paternità in nome dell’opportunità di un incremento demografico.
Infine, frequenti sono le riflessioni di tipo filosofico e morale. Nello scagliarsi contro i vizi della società, talvolta Lucilio ne approfittava per invitare il lettore alla tranquillità, per ricordargli il valore dell’amicizia o dell’onestà.
La sua filosofia era pratica, basata sul senso comune. Molto bravo a riconoscere i vizi altrui, Lucilio era aveva ben chiaro nella mente cosa fosse per lui la virtù.
“È virtù, Albino, assegnare il giusto valore agli eventi in cui ci affatichiamo e per cui viviamo; virtù è conoscere quanto conta per l’uomo ogni cosa; virtù è sapere quel che è retto, utile, e onesto per l’uomo, quale il bene e, all’inverso, l’inutile, il turpe, il malvagio; virtù è saggiamente limitare la brama di possesso; virtù è dare un senso certo al denaro; virtù è esaltare quanto merita l’onore, è essere nemico e implacabile agli uomini malvagi e corrotti, difensore, per contro, degli integri e onesti e questi ammirare, questi amare, con questi in amicizia vivere; considerare inoltre, per primi, i vantaggi della patria, poi dei genitori, terzi e ultimi i nostri”.
(Libro incerto, vv. 1196 – 1208)
Nadia Rosato
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