Privilegio allo studio
Ecco perché è nuovamente impossibile trovare casa in città universitarie, se ne parlava già nel 2018, poi nel 2019.
Il problema sembrava finalmente iniziare ad emergere ed i comuni delle città si vedevano costretti ad ascoltare.
Milioni di studenti alla ricerca di una casa, una camera…anche solo un letto.
Di fronte a loro solamente un mercato saturo.
Qualcosa andava cambiato.
Poi è giunta l’epidemia di Covid e con essa anche la DaD e uno stop totale della mobilità inter e intra nazionale.
Sono seguiti due anni di ripresa relativamente tranquilli sotto l’aspetto della ricerca immobiliare, sicuramente grazie alla modalità mista e ad un’iniziale paura del contagio.
Quest’anno però la danza è cambiata.
Il Ministero dell’Istruzione, con l’aiuto dei docenti, ha buttato al rogo tutti i computer, l’avanzamento tecnologico, le piattaforme di insegnamento online e tutti quelle poche implementazioni tech che finalmente si stavano sviluppando in Italia.
La gioia dei docenti è stata tale da portarli a creare la disciplina agonistica del lancio del laptop, prossimamente alle Olimpiadi, accanto al salto delle mail degli studenti.
Come se gli universitari bramassero, dopo due anni di reclusione, di frequentare da casa se non in casi necessari.
Con il ritorno in presenza, il problema di trovare un loculo – magari vicino all’Università – dove tumulare la propria anima sulle sudate carte è nuovamente riemerso, e con esso anche tutta la serie di questioni già ben note negli anni precedenti.
Le città sono ormai divenute lunapark per turisti.
Molti luoghi di ritrovo universitario hanno lasciato il posto a negozi, supermercati e pizzerie ricercate.
Di esempi del genere ne abbiamo milioni in tutt’Italia.
A Torino, ad esempio, lo storico bar e aula studio per studenti Comala, rischiava la chiusura totale poiché d’intralcio alla costruzione di una strada che avrebbe permesso ai camion merci di raggiungere l’Esselunga.
La situazione non sembra ancora essersi sanata. Ora sono gli spazi verdi limitrofi a venire minacciati, in una zona dove di aree green ne sono rimaste poche.
Il quadro appare simile o addirittura più grave in città come Bologna, storico centro universitario, che ha visto chiudere diversi centri sociali perché considerati “pericolosi”.
Ulteriore impedimento è poi la riconversione di molti ex alloggi per studenti: infatti, diversi proprietari di case ed appartamenti hanno preferito affittare a turisti in modalità AirBnB, invece di renderli disponibili agli studenti.
Quello che un tempo era il centro pulsante della vita da cittadino diviene ora una grande trappola per consumatori, sfornita di tutti i servizi utili a renderla abitabile.
In una situazione di simile rarità di alloggi e bisogno di affitti economicamente accettabili, la disperazione di molti porta ad incappare in truffe immobiliari.
Ho avuto modo di sperimentarne alcune in prima persona e una volta anche di caderci.
Ad esempio alcune agenzie propongono un servizio di ricerca alloggio efficientissimo previo bonifico di 250€ per far partire la ricerca, altresì detto sparire nel nulla.
Altrettanto frequenti sono le speculazioni da parte degli stessi proprietari degli immobili, che propongono contratti basati su strette di mano e tanta fiducia.
Anche in questo caso posso citare la mia diretta esperienza: il proprietario mi proponeva un immobile senza possibilità di stipulare un contratto, in quanto sua prima casa e residenza. Equo, no?
In questa serie di difficoltà, l’epidemia di Covid non poteva che essere la ciliegina sulla torta.
I prezzi, già elevanti in periodo pre-covid, sono saliti alle stelle: se nel 2018 una singola a Milano costava in media 563 euro al mese, ora ne costa circa 650-700.
Ovviamente, utenze escluse, aspetto non ininfluente soprattutto visto il recente caro bollette.
Inoltre, dopo la pandemia molti membri delle famiglie hanno perso il lavoro o si sono visti ridurre lo stipendio.
Nel 2021 i giovani tra i 18 e i 34 anni in povertà assoluta ammontavano circa l’11,10%, 2 punti percentuali in più rispetto al 2019 (Istat).
Una simile difficoltà economica non rende sicuramente facile la sopravvivenza, figuriamoci l’investire sull’istruzione.
C’è poi da considerare l’impatto della DaD sul rendimento degli studenti.
Il malessere generato dal distanziamento sociale e la mancanza di una rete di sostegno universitario hanno rallentato il raggiungimento della corona d’alloro di molti, interrompendo il naturale ricircolo di universitari negli alloggi.
I fortunati ancora in grado di potersi permettere una camera/posto letto, vista l’offerta insufficiente, si sono trovati costretti a vagare tra case di amici o a dover fare i pendolari pur di poter assistere ai corsi ed essere reputato frequentante.
Dei quattro corsi da me frequentati al momento, giusto per portare un esempio, solamente uno ha garantito la possibilità di accedere alle lezioni registrate e al materiale dell’anno scorso. Un disagio notevole che mi obbliga a sprecare ore negli spostamenti per poter raggiungere l’università.
Lo studio, a detta della legge, dovrebbe essere un mio diritto sembra assomigliare sempre più ad un privilegio.
A questo punto, perché non dare gli esami da non frequentante?
Domanda corretta, ma fermiamoci a riflettere: se non mi vengono forniti i mezzi e gli strumenti per seguire le lezioni, la modalità da non frequentante è ancora una mia scelta o piuttosto un obbligo?
Siamo dunque di fronte ad uno Stato ipocrita.
Ce lo dimostrano anche i programmi di governo degli ultimi candidati alle elezioni, che includevano tutti ( o quasi) obiettivi di parità, tutela dei diritti e dell’ambiente senza però illustrare come e con quali mezzi li avrebbero raggiunti.
Cari partiti, è facile mostrarsi d’accordo su determinate tematiche, ma il vostro compito non si ferma lì.
È necessario che lo Stato si impegni maggiormente per garantire il pieno diritto allo studio agli universitari, dando vita a nuove strutture recettive ad uso esclusivo degli studenti (possibilmente vicine al centro).
Le residenze statali o para-statali attualmente presenti sono infatti altamente insufficienti.
Se facciamo riferimento ai soli dati del 2019/2020 a Torino a fronte di 2173 posti letto a tariffa agevolata abbiamo più di 6000 borsisti fuori sede, il che indica una mancanza di ben 3800 posti letto di cui i borsisti dovrebbero avere diritto ma che non sono fisicamente presenti (dati: IRES, Contributo di ricerca Qual è la domanda abitativa degli studenti universitari in Piemonte?).
Di fronte a simili disagi e disservizi è auspicabile che tra una tutela della natalità e una retata anti migranti il governo riesca ad agire attivamente per sanare la situazione.
Le speranze sono deboli, bisogna ammetterlo, ma ci auguriamo che i probabili scenari in caso di indifferenza verso il problema, come l’abbandono universitario, possano spaventare sufficientemente le classi politiche, spingendole all’azione.
La speranza e la lotta per i diritti, ora più che mai, devono essere le ultime a morire.
Sofia Seghesio
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