Sfruttamento minorile e multinazionali, un rapporto scandaloso
Le multinazionali, i colossi mondiali dall’enorme fatturato e dalla presenza (fisica o online) in quasi tutti i luoghi della Terra, non smettono di stupire. Tra le luci e le ombre dei colossi, spicca indubbiamente uno scandalo: lo sfruttamento minorile.
Si potrebbe pensare che solo le nazioni del cosiddetto Terzo Mondo tendono, nei fatti, all’utilizzazione di minori. Ma non è così. Le aree più povere e ricche del mondo sono indissolubilmente legate dallo stesso filo rosso della morte e dello sfruttamento dei bambini.
Tramite la delocalizzazione, infatti, le grandi aziende spostano i processi produttivi o fasi di lavorazione, al fine di guadagnare competitività, in aree povere o poverissime del globo.
In quasi tutti questi paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina, le leggi a tutela minorile sono inesistenti o piuttosto semplici da aggirare. Risultano, quindi, per le aziende americane ed europee l’ideale per poter fatturare in maniera esponenziale e a costi pressocché minimi.
Ad oggi, sono ben 160 milioni i bambini tra i 5 e i 17 anni ad essere sfruttati, di cui la metà svolgente lavori duri e pericolosi, che possono condurre ad un danneggiamento della salute psico-fisica dei bambini. Complice anche la scarsa manodopera nei paesi industrializzati, è ormai assodata la presenza minorile nella produzione di non poche grosse aziende.
Nel tentativo di circoscrive lo scandalo, sono intervenuti vari mezzi, ma poco definitivi nell’eliminazione del problema. Nel 2001, a seguito di un numero considerevole di articoli-inchiesta pubblicati tra il 2000 e il 2001 e un documentario della BBC, diverse multinazionali hanno firmato il protocollo Harkin-Hengel, o Protocollo sul cacao.
Le aziende si impegnavano, dal luglio 2005, a certificare che il cioccolato non venisse prodotto tramite manodopera minorile, forzata, debitoria o proveniente dal traffico di esseri umani.
Questa promessa non sembra essere stata mantenuta. La Nestlé, una delle multinazionali firmatarie, spicca negativamente. Nel 2005, due ONG (International Labor Rights Fund e Global Exchange) denunciarono Nestlé di sfruttamento del lavoro minorile e manodopera ridotta in schiavitù.
Il report delle ONG aveva come focus, in particolare, la denuncia dello sfruttamento di minori provenienti dal Mali, poi trasferiti in Costa d’Avorio per lavorare gratuitamente e in condizioni disastrose per la salute psico-fisica nelle piantagioni di cacao. La Nestlé è accusata anche di sfruttamento minorile in Thailandia.
Non solo la multinazionale svizzera: anche Apple, Tesla, Alphabet (Google), Dell e Microsoft sono state accusate, il 12 dicembre 2019, tramite azione legale intentata dall’International Right Advocates (IRA) presso la Corte Federale del Distretto di Columbia negli Stati Uniti, di aver ottenuto considerevoli vantaggi dallo sfruttamento minorile, e di essere responsabili della morte di numerosi bambini e ragazzi impiegati nell’estrazione di cobalto nella Repubblica Democratica del Congo.
E ancora (l’elenco potrebbe essere piuttosto lungo, nell’articolo sono citate solo alcune multinazionali): nel 2010 la multinazionale del tabacco Philip Morris ammise l’utilizzo della manodopera minorile nella raccolta del tabacco. Furono impiegati 72 bambini dell’età di 10 anni e, in più, l’azienda ha costretto lavoratori migranti ad operare in condizioni di schiavitù, dopo aver sottratto loro i documenti.
Cosa dire di Victoria’s Secret, le cui dichiarazioni di provenienza “fair trade” del cotone lasciano l’amaro in bocca. La dicitura dovrebbe assicurare la garanzia di assenza di sfruttamento lavorativo, ma ciò non è risultato valido per l’azienda.
Nel 2007, il marchio statunitense lanciò la linea Burkina fashion, il cui obiettivo era quello di produrre una linea equa e solidale con tessuti esclusivamente africani. Ma il giornalista Cam Simpson, esponente della multinazionale operante nel settore dei mass media Bloomberg, ha testimoniato con un reportage risalente al dicembre 2011 la storia, in particolare, di Clarissa Kambire, tredicenne africana.
Il reportage racconta la giornata tipica di Clarissa, ripetutamente picchiata per svolgere un lavoro duro e doloroso. Come Clarissa, molti altri bambini e ragazzi venivano regolarmente sfruttati e picchiati, in Burkina Faso, al fine di produrre la sexy lingerie americana.
Questi sono solo esempi. Moltissimi sono i colossi coinvolti in scandali e in ambiguità: Coca Cola, Nike, Benetton, Reebok, Puma, Timberland, Mc Donald’s…
Possedere un uomo non è più possibile da tempi relativamente recenti. L’Organizzazione delle Nazioni Unite lo affermò perentoriamente con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, il 10 dicembre 1948. Tuttavia, questo non sembra essere valido in tutti i contesti, anzi.
La domanda è sempre la stessa: cosa possiamo fare noi consumatori? Anzitutto, documentarci, e i media forniscono un lavoro prezioso a riguardo. Poi, ricordarci che il prodotto che acquistiamo non è solo un oggetto. Ha una storia, un percorso, spesso fatto di sangue, sudore e lacrime. Perfino di bambini.
Aurora Scarnera
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