La terribile storia di abusi e di patriarcato che ha ispirato “Women Talking”
Il prossimo 12 marzo si svolgerà l’annuale e attesa cerimonia degli Oscar. Nella categoria principale, quella per il miglior film, gareggia anche Women Talking. Questo toccante film riuscirà a conquistare l’ambita statuetta?
Diretto da Sarah Polley ed interpretato, tra le altre, da Claire Foy (The Crown) e Rooney Mara (Carol), il film Women Talking potrebbe essere la grande sorpresa di questa stagione degli Oscar.
È infatti in lista nelle categorie “Miglior film” e “Miglior sceneggiatura non originale”. La storia narrata è a dir poco tragica e si basa sull’omonimo romanzo del 2018 di Miriam Toews.
La storia è ambientata all’interno della comunità dei Mennoniti, un movimento cristiano anabattista che conta più di un milione e mezzo di fedeli nel mondo. Questa comunità è caratterizzata da uno stile di vita rigoroso, in cui è inaccettabile anche solo guidare oppure utilizzare l’elettricità.
Ci si può dedicare solo al lavoro e alla famiglia, che ha una netta impronta patriarcale. In particolare, la storia di Women Talking si focalizza sui Mennoniti presenti nella colonia di Manitoba, in Bolivia. Qui si concentra una comunità di circa 1800 persone, che vivono isolate e che sono dedite al rigore. Gli uomini lavorano dalla mattina alla sera nei campi, mentre le donne si dedicano alle faccende domestiche e alla crescita dei figli. Il tempo qui si è fermato, non lasciando spazio al progresso e alla tecnologia.
Ciò, in teoria, dovrebbe far pensare ad una comunità estremamente sicura, in cui non esistono rischi e dove si vive sotto una campana di vetro. Eppure, spesso l’isolamento non è sinonimo di protezione. Ciò soprattutto poiché, proprio in uno dei posti considerati più sicuri al mondo, un numero spropositato di donne è stato tragicamente violato. Immaginate di essere delle giovani donne, cresciute in un ambiente di profondo pudore, in cui la sessualità viene vista come un peccato.
Vi è stato insegnato che i rapporti sessuali sono accettabili solo in prospettiva riproduttiva. Inoltre, vivete in una società estremamente patriarcale, che vi impone completa sottomissione verso gli uomini. Nonostante ciò, una mattina vi svegliate con dolori fisici inspiegabili e con la netta sensazione di essere state violate. Non avete la possibilità di confrontarvi con nessuno, poiché anche solo parlare di questi argomenti rappresenta un peccato.
La società attorno a voi vi spinge a credere che questi dolori e queste sensazioni siano opera del diavolo, una specie di punizione divina conseguente ai vostri peccati. La sensazione di vergogna e di colpevolezza cresce a dismisura, portando inevitabilmente al silenzio. Anche solo pensare che un uomo della vostra comunità abbia potuto violentarvi è aberrante, impossibile. Inoltre, decidendo di parlare potreste correre il rischio di venire etichettate come bugiarde. Eppure, quella sensazione di violazione fisica non è immaginaria: siete state effettivamente violentate, per giunta in modo sistematico.
Tra il 2005 e il 2009, infatti, nella comunità dei Mennoniti a Manitoba, vennero perpetrati centinaia di stupri. Un anestetico, generalmente utilizzato sugli animali, veniva spruzzato e diffuso nelle case, facendo addormentare tutti i componenti di una famiglia. In seguito, alcuni uomini facevano irruzione nelle abitazioni, violentando le donne presenti.
Alcune raggelanti fonti narrano che la vittima più giovane (tra quelle accertate) aveva solamente 3 anni. La mattina dopo, le vittime si svegliavano, ancora intorpidite dall’anestetico, con ferite e dolori, specialmente nelle zone intime. Questa storia è andata avanti per moltissimi anni, anche e soprattutto a causa della reticenza dimostrata dalle vittime, spinte a non denunciare. Come anticipato, infatti, anche solo dichiarare di essere state vittime di violenze rappresentava una vergogna.
Una donna che aveva esperienze sessuali prima del matrimonio veniva esclusa dalla società, anche qualora si fosse trattato di stupro. Inoltre, la comunità era considerata sacra ed inviolabile, tanto che accusare un uomo mennonita di un crimine era impensabile. Molte vittime rimasero in silenzio, anche per non arrecare “danni” sociali alle proprie famiglie. Le donne che ebbero il coraggio di denunciare vennero tacciate di menzogna, poiché ciò che raccontavano era giudicato come frutto della propria immaginazione.
Dal punto di vista legale, solamente a partire dal 2011 si arrivò ad un’effettiva condanna dei colpevoli. Nel concreto, infatti, sette uomini vennero condannati ufficialmente per stupro, dovendo scontare 25 anni di carcere. Il veterinario colpevole di aver fornito l’anestetico, invece, venne condannato a 12 anni. Nonostante ciò, parte della comunità mennonita continua ancora oggi a difendere i colpevoli, negando alle vittime anche solo il riconoscimento del trauma subito.
La pellicola di Sarah Polley ispirata a questa storia, che ha già vinto numerosi premi, è uscita nelle sale americane lo scorso dicembre. Per quanto riguarda la distribuzione italiana, purtroppo non è ancora stata annunciata la data d’uscita nei cinema, che potrebbe avvenire magari in concomitanza con la Giornata Internazionale della donna. Staremo a vedere.
Stefania Berdei
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