Laggiù qualcuno mi ama: Troisi attraverso lo sguardo di Martone
Laggiù qualcuno mi ama è il docufilm di Mario Martone, presentato al festival internazionale del cinema di Berlino, che ripercorre e analizza la produzione del regista, attore e comico napoletano Massimo Troisi.
Mario Martone in compagnia di Anna Pavignano, compagna, collaboratrice, nonché fondamentale punto di riferimento per Troisi, intraprende un viaggio.
Attraverso il montaggio di sequenze e spezzoni dei suoi film, di inediti materiali d’archivio, e di interviste con personaggi che hanno conosciuto, lavorato con l’attore o che semplicemente hanno trovato in lui una fonte d’ispirazione, come Paolo Sorrentino, Michael Radford, Franceso Piccolo, Ficarra e Picone, Goffredo Fofi, e altri, riscopre un personaggio tanto amato quanto complesso, pur nella sua apparente e genuina semplicità.
È ciò che ha reso Massimo un personaggio unico nel suo genere che qui si cerca di indagare: chiunque abbia visto un film di Troisi conosce quelle sue espressioni del viso e quella sua gestualità così particolari, che lo hanno reso un comico e attore che ha saputo dar voce alle crisi esistenziali e alle insicurezze, alle lotte di una generazione di giovani, napoletani e non.
Sì perché la comicità di Troisi è piuttosto lontana dalla comicità alla Scarpetta, dalla maschera di Pulcinella; del resto, pensiamo al film No grazie, il caffè mi rende nervoso, dove l’attore interpreta un personaggio progressista che si fa portavoce della necessità di un’emancipazione della tradizione napoletana da luoghi comuni e stereotipi come pizza, spaghetti e mandolino; perché, come ricorda ironicamente Massimo, a Napoli non mangiamo solo spaghetti ma qualche volta addirittura anche altro.
In effetti la filmografia di Troisi può essere avvicinata molto più facilmente alla produzione della Nouvelle Vague, in particolare a quella di Francois Truffaut; in quest’ottica, sensatamente, Martone può accostare Massimo ad Antoine Doinel, celebre protagonista di un ciclo di film.
In entrambi i casi si tratta di personaggi timidi, insicuri ed impacciati nelle loro relazioni con le donne, costantemente alle prese con discorsi esistenziali sul senso della vita e dell’amore; domande, che a ben vedere, caratterizzano l’intera produzione cinematografica dei due registi.
Il legame uomo-donna è al centro della riflessione cinematografica di Troisi, che indaga l’amore in tutte le sue sfaccettature e contraddizioni: per esempio, nel finale di Pensavo fosse amore… invece era un calesse, uomo e donna sono troppo diversi, sono le persone meno indicate per sposarsi.
L’ironia di Troisi è sempre velata da una malinconia, da una sorta di tristezza di fondo che conferisce un certo pathos, una certa tonalità emotiva caratteristica ai suoi personaggi, diremmo una tenerezza e una timidezza che si ritrovano in un altro autore della commedia, inglese questa volta: parliamo di Charlie Chaplin.
Naturalmente con Chaplin siamo perlopiù nel periodo del cinema muto, ma ad avvicinare i due attori e registi è una comicità fatta di contraddizioni, in cui spesso, il momento più esilarante è anche quello più drammatico, una comicità per la quale si ride di gusto ma che poi lascia l’amaro in bocca, quella sensazione di malinconia per le sofferenze degli esseri umani e per i problemi dell’esistenza evidenziati nei loro film.
Troisi è riuscito ad esplorare e a mettere in scena alcune delle fondamentali contraddizioni di donne ed uomini, i problemi dei ragazzi e delle famiglie tra anni ‘80 e ‘90, risultando ancora oggi assolutamente attuale. Chissà quante altre persone rideranno e si innamoreranno ancora guardando Ricomincio da tre, Scusate il ritardo, oppure il Postino.
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