Lo slow living sta funzionando davvero?
Slow living, ossia rallentare i propri ritmi, ritrovare uno stile di vita più naturale, sano ed equilibrato rispetto alla stressante frenesia cui siamo sottoposti ogni giorno dalle attuali condizioni lavorative.
L’espressione slow living prese piede nel corso degli anni ‘80, quando in risposta e come forma di protesta alla crescente diffusione dei fast food, come Mcdonald’s anche in Italia, nacque il movimento chiamato Slow Food, incentrato su di un’alimentazione più salutare e possibilmente a chilometro zero.
Oggi però di slow life, ci sono soltanto i video e i relativi hashtag che hanno invaso Instagram e TikTok; persone immerse in luoghi fiabeschi, bucolici, oppure che camminano volteggiando felici su spiagge deserte o ancora mentre raccolgono margherite nel giardino di casa e sorseggiano un buon tè rigorosamente biologico.
Che il sistema produttivo in cui viviamo sia assolutamente malsano e vada modificato è un dato di fatto, ma è forse creando dei video dove si mostrano delle persone che fanno vacanze in luoghi meravigliosi da sogno oppure che possono permettersi il lusso di vivere una vita lenta che si farà una rivoluzione?
Questo tipo di contenuti, pur piacevoli e d’intrattenimento, sortiscono forse un effetto contrario, non fanno che reiterare una certa etica capitalista e le sue differenze e gerarchie.
Difficile vivere la vita con più calma quando si hanno orari serrati dalla mattina alla sera, quando si hanno talmente tante pressioni lavorative da portarle anche a casa in quello che dovrebbe essere il cosiddetto “tempo libero”; senza contare che concedersi un bel bagno caldo la sera con tanto di candele profumate o fare una passeggiata in mezzo alla natura prima di andare al lavoro, seppure possano essere gradevoli esperienze di slow life, non renderanno la nostra vita davvero più slow, se poi continuiamo a vivere in una società ipercompetitiva e basata sulla produzione continua.
Questi video, o sarebbe meglio chiamarli, data la loro durata che spesso non supera i 60 secondi, pillole di relax, non fanno che generare l’illusione catartica di vivere in un mondo più lento, quando poi a ben vedere, pochi possono permettersi di fare la colazione al bar la mattina con tutta calma se non di domenica, e un giorno di libertà vissuto con lentezza non cancella certo lo stress e la frenesia dei restanti giorni della settimana.
Insomma, probabilmente siamo di fronte all’ennesima forma di normalizzazione del privilegio, che continua a dividere in chi sullo schermo (e nella vita) può godere di esperienze mistiche su una spiaggia tropicale deserta e chi dietro lo schermo, troppo spesso, non può.
Potremmo provare a trasformare quei due minuti di romanticizzazione della vita lenta sui social, in una prassi concreta che migliori la qualità di vita per il maggior numero possibile di persone.
Chiaramente, gli stessi social sono uno strumento potentissimo di critica e attivismo, ma il messaggio dovrebbe andare oltre la proposta, comunque lodevole e sensata, di trovare del tempo da dedicare a sé stessi e riscoprire la gioia di fare qualcosa con lentezza e senza uno scopo preciso.
Ci sarebbe bisogno di una critica più profonda del sistema sociale e lavorativo in cui viviamo, affinchè l’ozio e il relax non siano più concepiti come un momento speciale che può meritarsi soltanto chi lavora duramente (secondo una certa etica lavorativa del sacrificio) ma come un diritto sacro di ciascuno.
Perchè il riposo, la lentezza non dovrebbero semplicemente essere relegati ad un’interpunzione, oppure ad una sospensione del tempo per poi riprendere i soliti ritmi frenetici di sempre, per essere di nuovo punto e a capo; piuttosto andrebbero riviste e riconsiderate praticamente le condizioni e i ritmi stressanti e sempre più veloci del capitalismo attuale.
Benedetta De Stasio
Leggi anche: Boris 4, un antidoto alla società della performance