Mani Pulite: la fine della Prima Repubblica
È il 17 febbraio 1992. L’ingegnere Mario Chiesa viene colto in flagranza di reato, mentre accettava una tangente di ben 7 milioni di lire.
L’indagato allora si reca al bagno e qui cerca di liberarsi di un’altra tangente ricevuta nella stessa giornata, questa di ben 37 milioni di lire.
Chiesa tenta di sbarazzarsi delle banconote gettandole nel water, ma viene fermato.
In questo modo tragicomico inizia l’inchiesta di Mani Pulite.
Ci troviamo nella Milano dei primi anni ’90, la corruzione è dilagante e il sistema di tangenti è conosciuto da tutti ma un’omertà pericolosa e colma di impotenza lo avvolge.
Antonio di Pietro, il magistrato che aveva curato quell’inaspettato arresto, parlò del sistema di tangenti come di “dazione ambientale”, cioè come ovvia e dovuta negli ambienti dell’epoca.
Talmente è forte il disfattismo e l’inerzia che l’arresto di Mario Chiesa non viene colto in tutta la sua reale gravità, come una vera e propria bomba pronta ad esplodere.
Chiesa resiste e non parla, ma il tempo delle elezioni si avvicina e quando lo stesso capo del suo partito, Bettino Craxi lo accusa di essere un “mariuolo isolato”, la situazione si ribalta e inizia a parlare.
Scoppia allora la bomba che avrebbe non portato solo a qualche arresto, ma alla fine della stessa Prima Repubblica.
I nomi sono numerosissimi e l’inchiesta si allarga a dismisura.
Le elezioni si svolgono nell’indifferenza generale e tutti i partiti ne subiscono le conseguenze. Ma soprattutto iniziano a diffondersi una vera e propria valanga di avvisi di garanzia.
I bollettini dei telegiornali si aprono col nome di questo o quell’esponente che viene colpito dai suddetti avvisi. Di Pietro viene incitato come eroe dalle persone, mentre molti non riescono a reggere la pressione.
Suscita grande indignazione il suicidio di Sergio Moroni, deputato alla camera del PSI, che in una lettera d’addio lamentò il clima insostenibile di quei tempi. Pochi giorni dopo si suiciderà anche il presidente dell’ENI, Gabriele Cagliari, per una supposta tangente di ben 4 miliardi di lire.
Il clima si fa sempre più esplosivo e per cercare di risolverlo il governo tenta di far approvare il decreto Conso, che prevedeva la depenalizzazione dei finanziamenti illeciti.
Visto però come un “colpo di spugna”, per l’effettivo rischio di insabbiare i risultati del pool, il decreto non riceve l’approvazione dal Presidente della Repubblica, per la prima volta nella storia italiana dagli anni del dopoguerra.
La situazione non si placa e ormai lo stesso leader del partito, Bettino Craxi, non è al sicuro. In un suo famoso discorso tenuto in Parlamento, egli arriverà ad ammettere la diffusa pratica delle tangenti anche nel suo partito, ma la scuserà come una condizione generale del sistema politico italiano.
Ma la situazione è andata troppo oltre.
Dopo 25 anni, Craxi non viene rieletto e con ciò perde anche l’immunità parlamentare.
Ormai si hanno prove schiaccianti contro di lui per vari crimini, ma il ritiro del passaporto, impostogli il 12 maggio 1994, avviene troppo tardi: pochi giorni prima è fuggito in Tunisia, dove trascorrerà gli ultimi anni di vita.
L’inchiesta di Mani Pulite si chiude con più di 4520 indagati e moltissimi condannati, generando una frattura fra opinione pubblica e classe dirigente politica che non si è ancora risanata tutt’oggi.
Gabriel Santomartino
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