DaDizioni – ripetizioni ai tempi della didattica a distanza: Guido Guinizelli e Guido Cavalcanti
Che l’amore sia un sentimento capace di cambiare le persone è una cosa nota anche alle pietre.
C’è chi, dopo essersi innamorato, saltella felice in mezzo alla strada con una bella canzone in sottofondo e chi, di contro, si contorce nel proprio letto perché non sa come affrontare un sentimento che gli toglie qualsiasi energia.
Questa cosa sembrava preoccupare anche i poeti del medioevo e, in particolare, quelli che possiamo considerare lo yin e lo yang della poesia d’amore di quel periodo: Guido Guinizelli e Guido Cavalcanti.
Guido Guinizelli nasce tra il 1230 e il 1235 a Bologna, mentre Guido Cavalcanti nasce a Firenze nel 1258. Tra il XII e il XIV secolo il capoluogo emiliano e quello toscano stavano vivendo la fase storica dei Comuni, forme di governo che approfittando della crisi tra i due massimi poteri universali, l’impero e il papato, favorirono l’ascesa di classi sociali che si basavano non sulla nobiltà, ma sulla propria ricchezza derivante dal proprio mestiere: mercanti, banchieri, maestri artigiani, speziali (i medici dei giorni nostri) e così via.
Grazie anche alla presenza dell’omonima università (fondata nel 1088) la città di Bologna, divenuta comune nel 1116, era governata dalla classe dei giuristi. Quando Federico Barbarossa scese in Italia con l’intenzione di rivendicare l’autorità imperiale togliendo ai comuni tutti i diritti che si erano conquistati Bologna aderì alla Lega Lombarda nel 1176 e, dopo aver inflitto una pesante sconfitta all’imperatore nella battaglia di Legnano dello stesso anno, riottenne i propri privilegi con la Pace di Costanza (1183). Dalle poche informazioni che abbiamo Guido Guinizelli doveva essere nato proprio in una famiglia di giuristi e stando ad un atto notarile del 1266 faceva parte dei ghibellini (sostenitori dell’impero). In seguito alla presa di potere da parte dei guelfi (sostenitori del papato) nel 1274 fu esiliato a Monselice, dove rimase fino alla morte.
Anche la vita politica di Firenze attorno al XII secolo era molto attiva. Il potere della città, divenuta comune nel 1115, era nelle mani delle famiglie di mercanti e proprietari terrieri da cui proveniva anche Cavalcanti. Sposato con Bice, figlia del ghibellino Farinata degli Uberti (citato da Dante nel decimo canto dell’Inferno), nella scissione tra guelfi bianchi e guelfi neri Cavalcanti si schierò con i primi assieme all’amico Dante Alighieri, ma nel 1284 venne estromesso da qualsiasi carica pubblica causa degli Ordinamenti di Giustizia di Giano della Bella in quanto possidente terriero. Come se non bastasse si scontrò continuamente con Corso Donati, capo dei guelfi neri e i disordini derivanti dalla loro ostilità crearono una situazione di tensione a Firenze che costrinse il collegio dei priori, di cui faceva parte anche Dante, ad esiliare il poeta a Sarzana. A dieci giorni dalla revoca dell’esilio e del suo ritorno a Firenze, Cavalcanti morì nel 1301.
Guinizelli e Cavalcanti si possono considerare due tonalità diverse dell’esperienza poetica più importante per la letteratura italiana di quel periodo: il Dolce stilnovo.
Guido Guinizelli si distacca dallo stile dei poeti siciliani per adottare un’ideologia che espone in Al cor gentil rempaira sempre amore, canzone in cui introduce un concetto fondamentale non soltanto per Dante e i suoi colleghi, ma anche per la classe borghese che andava formandosi a Firenze.
A rendere nobile l’animo di un uomo non è più la discendenza di sangue, ma la bontà del proprio cuore in cui sono racchiuse tutte le virtù che gli permettono di amare e, di conseguenza, di elevarsi di grado.
A giocare un ruolo fondamentale è la donna, che diventa un elemento per avvicinarsi alla visione di Dio: è la famosa donna-angelo tanto cara ai poeti stilnovisti, Dante in primis, il cui sguardo e la cui bellezza spingono l’uomo a sottomettersi e a obbedirle, allo stesso modo in cui le entità angeliche responsabili del movimento dei cieli del Paradiso obbediscono a Dio. L’amore non è più una passione terrena, ma addirittura un mezzo per accedere al paradiso.
Il discorso cambia con Cavalcanti. Per lui l’amore è una questione puramente intellettuale (le sue poesie risentono dell’influenza della filosofia di Aristotele, di cui era studioso) e non ha nulla di positivo: anzi, la sua potenza arriva a distruggere le facoltà intellettive dell’uomo innamorato che, incapace di ragionare, cade in un continuo stato di angoscia e di dolore.
Basta leggere il sonetto Voi che per li occhi mi passaste ‘l core per comprendere questo concetto: lo sguardo della donna amata penetra nel cuore e non è più un ponte di collegamento con Dio, ma un sentimento che tormenta all’interno il frustrato che non trova le parole giuste per descriverne la bellezza.
Tra tutti i poeti dello stilnovo Cavalcanti è quello che, senza ombra di dubbio, si può considerare a tutti gli effetti il più “ateo”.
Ciro Gianluigi Barbato
Immagine di Francesco Siliberto
Vedi anche DaDizioni – ripetizioni ai tempi della DaD: Giovanni Pascoli