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Fidarsi sbagliando, ci siamo passate tutte

Riuscire a trasformare il dolore in testimonianza, con le ferite che – socchiuse – sussurrano paure. Dar voce, far spazio al proprio passato facendosi scrollare da dosso vergogna e colpa.

Espandere il proprio scudo affinché ogni vittima, ogni donna, possa sentirsi accolta e con forza respingere ogni proiettile mirato a distruggere la nostra dignità. Per me, tutto questo, sa di vittoria.

Ero un adolescente, indifesa ed insicura che riponeva cieca fiducia nelle persone, convinta che queste ultime facessero dell’ingenuità il motore delle proprie azioni come facevo io. Quasi tutti ricordano le prime cotte con un sorriso, ripercorrendo quei momenti buffi che si tendono a vivere le prime volte in cui ci si imbatte in una bugia detta ai propri genitori, le prime uscite che ruotavano intorno ad un gelato gustato mentre si è seduti su una panchina, i primi rimproveri per essere tornati più tardi del previsto, le prime palpitazioni al cuore… è tutto così semplice a quell’età.


Purtroppo, questa semplicità l’ho vissuta per poco perché mi sono dovuta armare della consapevolezza necessaria per comprendere (in parte) che quello che stavo vivendo non fosse sano.
“Non devi indossare queste scarpe!”, “Non devi scattarti foto!”, “Questo nuovo taglio di capelli ti rende una poco di buono!”, “Non devi avere amici”, “Dammi le password dei tuoi account social”, è così che tutto ebbe inizio.


Alla bambina che ero, che stava riscoprendo sé stessa, i primi cambiamenti del proprio corpo e stava cominciando ad amarsi, vennero fatte queste affermazioni perché la persona che l’affiancava non le voleva bene abbastanza, non quanto lei amasse sé stessa. Questo fu il motivo per cui non smisi di seguire i miei gusti e le mie idee, mi dava la forza di oppormi nella maggior parte delle richieste che mi vennero poste, tranne per alcune – lo ammetto – che finivano con una giustificazione, conosciuta da molti: “Non lo faccio più, cambierò, è che ci tengo troppo”.


Col senno di poi, non posso considerarlo amore quello che provavo ma ne parlo come se lo fosse perché immagino ci siano tante ragazze, donne, che hanno subito lo stesso, magari ad un’età diversa e in una relazione con una valenza maggiore e di conseguenza vissuta in modo più maturo… ciò non toglie che il rispetto fosse alla base di qualsiasi tipo di rapporto, equiparato ovviamente al periodo in cui viene vissuto.
Non ero pronta ad essere donna, trattavo quel sentimento con tenerezza, senza malizia e mi piaceva viverlo così. Sentivo di dover conoscere ancora tanto di me stessa, sentivo di dover crescere e quello non era il momento di concedere il mio cuore, il mio corpo ad una persona che iniziai ad avvertire tossica.
Ad ogni mio rifiuto si presentava un atteggiamento scostante e scontroso che, in un modo o nell’altro, manipolava la mia mente trasmettendomi un forte senso di colpa che si nutriva della mia insicurezza, portandomi ad agire con fiducia e al contempo sbagliando.


Sono sempre restata ferma sui miei valori e continuai a preservare il mio corpo come uno scrigno che conservasse segreti, alcuni dei quali erano addirittura sconosciuti a me stessa.
Arrivai al punto in cui le opposizioni e le giustificazioni non bastarono.


Presi di petto la situazione, mi resi conto di essere vittima di un sistema che rendeva ciò che io facessi per “paura”, un oggetto per tenermi ancorata a questa relazione, alimentandone la tossicità.
Decisi di lasciarlo e di liberarmene ma non riuscii a godere subito di questa liberazione perché a tutto questo seguirono violenze verbali e psicologiche costituite da minacce ed umiliazioni.


“O con me, o con nessuno”, mi diceva, “ti farò vergognare di quella che sei”, “rispondimi, è una questione o di vita o di morte”, “hai già iniziato ad avere nuovi amici? Mostriamogli quella che sei” … il tutto contornato da tanta malvagità e risate sarcastiche, indice della sua soddisfazione nel recarmi sofferenza.
Iniziò un lungo periodo di stalking telematico che sono riuscita a sconfiggere sporgendo denuncia, avendo il coraggio di esporre la situazione di cui ero vittima.


Non è stato facile: non potevo uscire come facevano le ragazze della mia età, non potevo andare a scuola se non per fare verifiche ed interrogazioni… ricordo che trascorsi il giorno di Carnevale al tribunale per raccontare, ancora una volta, della mia disperazione con gli occhi pieni di lacrime che imploravano pace. Io volevo soltanto questo: essere lasciata in pace, invece mi sentivo continuamente sotto pressione da qualcuno che fosse pronto lì, dietro l’angolo, a pugnalarmi e a farmi trascorrere nottate intere di terrore e di umiliazioni.


Tante donne non hanno il coraggio di denunciare e le comprendo, anch’io lo temevo perché in quel momento vorresti farcela da sola spendendo ogni forza, oppure, temi che quello che dovrebbe essere un provvedimento di tutela possa scatenare la rabbia del mostro che cerca di succhiarci la dignità.
Sebbene ci avessi provato per i primi tempi, da sola non ce l’ho fatta.


Affidandomi alla giustizia sono riuscita ad uscirne, certo, non basterebbero articoli per descrivere quello a cui ho dovuto sottostare ma un po’ per discrezione e per concisione del messaggio che intendo trasmettere, evito.


A distanza di anni riesco a mettere in luce il mio passato, comprendendo da quanto accaduto tutto quello che non devo essere. Questo è forse uno degli aspetti positivi di questa situazione: non mi ha incattivita, anzi, mi ha reso molto più forte e solidale nei confronti di chi subisce momenti critici.
Sicuramente ci sono state delle conseguenze che, negativamente, hanno ricalcato le mie paure ma ci sto lavorando giorno per giorno… non posso negare che l’accanimento, tutt’oggi, mi provoca molta ansia da cui – nei casi estremi – genera tremori.


Non posso far finta che non sia successo nulla. Il mio cuore, la mia mente lo sanno… è solo che ho imparato a conviverci, cercando di circondarmi di persone che mi rendessero libera di vivere totalmente la mia parte in una relazione.


L’invito che faccio a tutte le donne, soprattutto alle vittime di un sistema malato è quello di avere il coraggio di auspicare la libertà di volare con le proprie ali, ambendo altezze che non conoscono gerarchie; di scegliere di posarsi là dove possono mostrare il proprio chiaroscuro; e se non battono, su di noi, i raggi del sole ma cala l’oscurità, chiedere di non essere maltrattate né uccise. Prima di essere donne, siamo esseri umani che chiedono soltanto di svolazzare con leggiadria, seguendo i propri tempi per approdare nel nostro posto nel mondo.


Prima di essere un corpo, siamo un’anima priva di qualsiasi catena.


Alessandra Lima

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Alessandra Lima

Sono Alessandra, classe 2001 e studentessa di lettere moderne all’Università di Napoli “Federico II”. Mi interessano la letteratura, l’arte e la fotografia, da cui quasi sempre traggo ispirazione per la scrittura che è, a sua volta, una mia passione. Rendo la penna un tramite per lasciare a chi mi legge la possibilità di comunicare col mio mondo interiore e i miei interessi.
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