Il fantasma di piazza San Domenico
Piazza San Domenico Maggiore, una delle piazze più importanti di Napoli, situata nel cuore del suo centro storico, è teatro di un’angosciante leggenda.
Pare che, ogni anno, durante la notte tra il 16 e il 17 ottobre, risuonino per la piazza urla strazianti, e che si possa vedere una giovane donna, quasi svestita, aggirarsi in preda al tormento.
È il fantasma di Maria d’Avalos, vittima di un crimine atroce.
Maria D’Avalos apparteneva a una delle più autorevoli famiglie della nobiltà napoletana, figlia di Carlo d’Avalos, principe di Montesarchio, e di Sveva Gesualdo, principessa di Venosa. Vantava tra i suoi antenati il re di Napoli Ferdinando I. Famosa per la sua straordinaria bellezza, era una delle donne più desiderate di tutto il Regno di Napoli.
A soli tredici anni fu data in sposa al principe Federico Carafa, da cui ebbe due figli, Ferdinando e Beatrice. Purtroppo, Ferdinando morì che era ancora un bambino e lo stesso accadde a Beatrice quando aveva soli dodici anni.
Nel 1581, Maria rimase vedova e le fu imposto un secondo matrimonio, questa volta con Alfonso Gioieni, appartenente a una nobile famiglia siciliana, che morì solo due anni dopo le nozze.
Maria era ancora molto giovane, così la sua famiglia scelse per lei un altro marito: suo cugino, il principe Carlo Gesualdo di Venosa, che sposò il 28 febbraio del 1586 nella basilica di San Domenico Maggiore.
Carlo Gesualdo, figlio di Fabrizio Gesualdo e Geromina Borromeo, era nato nel 1566 a Venosa. Era un discendente di Guglielmo D’Altavilla e tra i suoi zii spiccavano i cardinali Alfonso Gesualdo e Carlo Borromeo. Carlo Gesualdo era l’ultimo di quattro figli. Infatti, prima di lui erano nati Luigi, Isabella e Vittoria. Per questa ragione, era destinato a intraprendere la carriera ecclesiastica e aveva passato la sua giovinezza a studiare. Nel 1585, suo fratello Luigi, all’epoca ventunenne, non ancora sposato e senza eredi maschi, morì in seguito a una caduta dal cavallo. Così, inaspettatamente Carlo divenne unico erede dei titoli e delle tenute paterne e per questa ragione, la sua famiglia lo spinse velocemente alle nozze. Però, il grande amore di Carlo era, da sempre, la musica. Era un suonatore di liuto, compositore di madrigali e fin da bambino era stato educato al canto. Pare che andasse molto orgoglioso delle sue capacità musicali e che non perdesse occasione per metterle in mostra.
Il suo lignaggio e la sua educazione lo avevano reso arrogante e pieno di sé. Viene descritto come un uomo morboso, spesso chiuso in sé stesso, geloso dei suoi privilegi, violento e litigioso, attaccato alle tradizioni e alla ricchezza.
I primi anni di matrimonio con Maria d’Avalos pare siano stati felici. Andarono a vivere a palazzo San Severo, oggi chiamato Palazzo Sangro, situato al numero civico 9 di piazza San Domenico Maggiore. L’anno successivo alle nozze nacque loro un figlio a cui fu dato il nome di Emanuele.
Pochi anni dopo il matrimonio, Maria d’Avalos incontrò Fabrizio di Carafa, appartenente alla famiglia dei duchi di Andria e conosciuto come “l’Arcangelo” per la sua straordinaria bellezza. Tra i due l’attrazione fu irresistibile e iniziarono a incontrarsi in segreto. Ben presto, la corte napoletana iniziò a spettegolare e queste voci raggiunsero anche Carlo che, orgoglioso e violento, iniziò ad essere sempre più aggressivo nei confronti di sua moglie.
Il 16 ottobre, Carlo finse di allontanarsi per una battuta di caccia e Maria immediatamente ne approfittò per organizzare un incontro con Fabrizio. Carlo, che probabilmente era rimasto nascosto nel palazzo, irruppe nelle stanze di sua moglie, sorprendendola insieme al suo amante. Pugnalò entrambi, uccidendoli. Secondo la leggenda, la sua sete di vendetta non si placò con l’omicidio e i corpi dei due amanti furono esposti, nudi, sulle scalinate di Palazzo Sangro per sette giorni. Pare che i colpi inferti a Maria fossero tutti al ventre. Un’altra versione, invece, riferisce che dopo l’assassinio, Carlo fece murare i corpi dei due amanti in una stanza degli appartamenti storici, chiamata in seguito “stanza dell’adulterio”.
Dopo l’omicidio, Carlo fuggì a Gesualdo, in Irpinia, ma non subì nessuna ripercussione per le sue azioni. Al processo, fu determinato che Carlo aveva agito nel giusto, difendendo il suo onore e quello della sua famiglia.
Nadia Rosato
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