La poesia sepolcrale: quando la morte diviene inno alla vita
Le tematiche legate ai mondi notturni dell’anima hanno solleticato l’immaginazione di poeti e scrittori in tutte le epoche, dalla tradizione orale a quella elegiaca.
Ma nel corso del ‘700 assistiamo alla creazione di un vero e proprio genere letterario che sarà foriero di idee fino ad oggi.
L’illuminismo con la sua luce ispiratrice della ragione in ogni ambito della cultura generó molto presto la spinta al romanticismo proprio per sfuggire ad un mondo intellettuale fin troppo arido.
La poesia cimiteriale nacque proprio come naturale conseguenza di quegli stimoli al sublime, al mistero e ovviamente alla decadenza.
Il primo esponente illustre che fondò praticamente il genere fu Thomas Gray con la sua Elegia in un cimitero campestre nel 1750.
Ritroviamo già qui tutte le caratteristiche fondanti del genere: la caducità del tempo, l’incombenza della morte, ma allo stesso tempo nello stile non ritroviamo una pacata rassegnazione dell’inevitabile, ed è questo l’elemento più affascinante di questo componimento.
L’autore rimpiange quanto la luce del sapere non abbia potuto toccare le anime della maggior parte degli uomini a causa della loro povertà, lasciando le loro aspirazioni lontane dallo spirito della vita. Un dolore pervaso da un silente eppure profondo spirito di ribellione.
Infatti la poesia cimiteriale non vede nella morte una facile fuga all’esistenza, ma assistiamo al contrario ad una spinta nell’apprezzamento alla vita.
È tipico del gusto preromantico prima e romantico poi vedere nelle umane miserie un binomio inscindibile fra un’onnipotenza tendente alla rivalsa da un lato e un compatimento di profonda impotenza dall’altro, vedendo così nei cimiteri e nella fine una via titanica per confrontarsi con la vita.
Non possiamo non citare Ugo Foscolo, già per alcuni rimandi dell’Ortis “Geme la Natura perfino nella tomba, e il suo gemito vince il silenzio e l’oscurità della morte” proprio a rappresentare una spinta assolutamente vitalistica.
Ma è ovviamente con i Sepolcri che l’immenso poeta italiano vede nelle tombe dei grandi un ideale di unità e il porle fuori dalla mura delle città impedisce sia l’imitazione delle loro virtú che il legame col mondo dei vivi.
Si legge qui l’indiscusso e sublimato legame dei defunti coi viventi. La poesia cimiteriale rimarca con forza tale rapporto, sempre per quell’antico e inestinguibile binomio di vita/morte.
E proprio la morte come ultimo arrivo ha nell’eco di questi poeti il merito di ricordare “coloro che non avevano voce“.
Emblematica è L’antologia di Spoon River, di Edgar Lee Masters. Nell’immaginaria cittadina di Spoon River, l’autore offre la possibilità di parlare agli spiriti dei defunti, svelandone il lato più intimo e tragico, nella rievocazione di tutte le loro miserie personali.
La memoria è infatti il filo conduttore più importante per questa poesia.
È straordinario quanto la poesia cimiteriale sia, pur nel suo morboso compiacimento per la decadenza, un vero e proprio inno alla vita.
Santomartino Gabriel
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