Liberazione: ricordo o realtà?
78 anni sono trascorsi da quando, alle 8 del mattino del 25 aprile 1945, dal microfono di Radio Milano, un coraggioso Sandro Pertini, proclamò la liberazione di tutti quei territori italiani che ancora pativano il dominio nazifascista.
«Arrendersi o perire!»: così il partigiano, membro del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia e, dal 1978 Presidente della Repubblica, si era rivolto alle truppe tedesche.
Proclamata l’insurrezione generale, saranno “sufficienti” pochi giorni, dopo ben sei anni di guerra, a mettere fine all’incubo che aveva rappresentato la Seconda Guerra Mondiale.
Nonostante l’operazione di ritiro delle truppe della Germania nazista e di quelle fasciste della Repubblica di Salò dalle città di Torino e di Milano sia avvenuta, come è comprensibile, in più di 24 ore, il 25 aprile è diventato la data simbolo di liberazione di cui gli italiani avevano bisogno.
Quell’annuncio, e la mobilitazione delle masse, ha coinciso con la spinta che il paese aspettava, la proclamazione definitiva del rigetto nei confronti di una guerra sporca, di cui lo stato si era macchiato le mani fin troppo a lungo e di cui non si voleva più essere complici.
I primi di maggio, le truppe tedesche erano finalmente fuori dal territorio italiano. E così gli italiani, fuori dalle loro case, a riempire le piazze e le strade, di bandiere e di urla di gioia, stanchi, stremati – le donne ancora vestite a lutto a piangere i propri morti – ma finalmente liberi.
Non pareva vero, eppure la fine era arrivata sul serio. E l’aria fuori doveva avere un sapore nuovo, dolce.
È dall’anno successivo che il governo italiano provvisorio, guidato da Alcide De Gasperi, decretò il 25 aprile festa nazionale, rossa in calendario, tanto che si festeggia ancora oggi.
Bambini e ragazzi non vanno a scuola, alcuni balconi ancora vantano bandiere svolazzanti, tutti escono in piazza. O più spesso tutti, noi, andiamo a fare scampagnate, o in montagna o al mare, e ne approfittiamo per una seconda, e magari meno piovosa, pasquetta.
È una liberazione anche questa: concedersi del tempo per sè e godere di quella libertà per cui altri, prima di noi, hanno dovuto combattere, e per cui oggi, in altri paesi, altri, come noi, continuano a farlo.
Anche quest’anno, per commemorare la liberazione italiana dal nazifascimo e la definitiva caduta del regime, con la condanna del ventennio più nero della storia nazionale, ci saranno marcie, manifestazioni e eventi pubblici, a cui il Presidente della Repubblica Mattarella, così come la Presidente del Consiglio Meloni, sono invitati a partecipare, e non mancheranno.
Più restie sono state le risposte dei rappresentanti di Fratelli d’Italia che, con un certo disinteresse e un mal camuffato fastidio, hanno confermato la loro presenza. Tale presenza – non di tutti – è dovuta alla volontà, caldamente consigliata e soavemente imposta, di commemorare unicamente la fine dell’oppressione nazista, non la condanna del fascismo che – ogni tanto i nostri politici lo dimenticano – continua a essere anticostituzionale, seppure ampiamente e con orgoglio praticato.
Nella speranza che la Giornata della Liberazione non sia macchiata da commenti spiacevoli e ignoranti, che probabilmente non mancheranno, rimaniamo in molti a credere al potere della memoria e all’importanza della storia.
Dagli errori si impara, e anche se l’Italia, negli anni, ha dimostrato di avere spesso una memoria corta e mal messa, non è mai detta l’ultima parola.
La liberazione c’e stata 78 anni fa. Non è stata l’unica, nè sarà l’ultima. E chissà non ce ne sia necessità anche prima del previsto.
Stefania Malerba
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