L’orientamento invisibile
Sono andata a dormire credendomi serena e mi sono svegliata angosciata. Ieri una collega mi ha chiamato “repressa asessuata” solo che non lo sa. Non parlava di me, ma di quelli come me, e lei non sa che io sono come loro.
Le sue parole continuano a tormentarmi, non per ciò che è stato detto – l’ignoranza può ferirmi fino a un certo punto – ma per il mio silenzio. Avrei potuto umiliarla, dirle “Io sono una di loro” e godermi lo spettacolo del suo arrampicarsi sugli specchi in nome del politically correct, ma non l’ho fatto.
Mi sono limitata a correggere il termine, “Si dice asessuali” e lei ha liquidato il tutto con un gesto scocciato, come a dire “Fa lo stesso”.
A casa ci ho riso su, mi sono detta che non importa se non ho avuto la risposta pronta. La mia asessualità è ancora nuova per me, non so bene come difenderla, come palesarla agli altri e se è necessario farlo, in verità, soprattutto sul lavoro.
Ho trascorso una vita intera a voler essere come tutti gli altri e alla fine ho scoperto che non lo sono. Esistono altri come me? Certo, ma al momento sono sola, nessuno nella mia cerchia può capirmi, per quanto si sforzino.
E cosa importa se la mia collega pensa che non esistiamo? Che fingiamo, che ci reprimiamo? Il lavoro mi serve, non posso risponderle male. E mi sento stanca al solo pensiero di educare chi non conosce il significato di sex repulsed o qualsiasi altra sfaccettatura dello spettro ace. Non ho la forza di una attivista né la pazienza di un’insegnante.
Nel mio silenzio però mi sento piccola, piena di qualcosa simile a un malessere. Ho voglia di piangere, di essere “normale”, anche se questa parola è sbagliata, odiosa e inappropriata. L’asessualità è normalissima, come l’essere etero, omosessuali o pan, è ciò che sono da sempre e adesso lo so. Ma è dura non sentirsi diversi quando tutti intorno a me provano attrazione per qualcuno, e io devo fingere che mi interessi Chi si è fatto Chi solo per non essere esclusa da un dialogo.
Le etichette “aromantica” e “asessuale” mi hanno tolto un peso dando una risposta alla domanda “Perché non mi attrae nessuno?”, ma al contempo mi hanno dato una condanna, dover sempre spiegare cosa sono o, se non mi va, accampare scuse: sono concentrata sulla carriera, non mi interessa l’amore, ma chi ce l’ha il tempo… E se le scuse non le invento io, ci pensano loro: sei timida, hai scarsa autostima, forse sei stata molestata da bambina… e al mio “No” rispondono sempre “Ancora devi trovare la persona giusta, poi vedrai”.
Io di vivere la mia vita in attesa di Persona Giusta mi ero stufata già prima di capire di essere aro-ace, e ora l’idea mi sta ancora più stretta. Non sono una persona malata in attesa della medicina che faccia effetto, se il sesso non mi attira o non è quello che cerco come prima cosa nei rapporti con gli altri non dovrebbe importare a nessuno. E invece pare la fine del mondo. Come ci si può sentire tanto invisibili e tanto visibili allo stesso tempo?
Mi spaventa che ritirarmi nel silenzio sia l’opzione più allettante. Non ho voglia di spiegarmi, di giustificarmi. “Sei anormale?” mi ha chiesto mio padre. Non comprende come io non voglia un fidanzato, come non ne senta il bisogno fisico e mentale.
“Sono anormale” ho confermato, perché so che non capirebbe comunque. Sono già stanca di una vita passata a spiegarmi prima ancora di cominciare. E sono a lutto per quelle esperienze che pensavo avrei avuto solo perché a leggerle nei libri e a vederle nei film sembravano la cosa più desiderabile di tutte.
A me però piacciono solo su carta, nessuno mi farà provare quelle cose, nessuno arriverà a salvarmi perché non ho bisogno di essere salvata.
Sono queste alcune delle risposte che mi porto dentro, ma non ho ancora la forza di tirarle fuori. Solo con gli amici, per ora, i pochi fidati che, infatti, non mi hanno deluso. Sono stata accolta e sono stata vista, e un po’ alla volta permetterò anche ad altri di vedermi, sempre che loro vogliano farlo.
E mentre mi rintano nel mio orientamento invisibile, mando un grazie a chi, al contrario di me, la forza di spiegarsi ce l’ha e la usa ogni giorno dentro e fuori dai social per educare e permettere a chi è nascosto di poter un giorno uscire alla luce del sole senza doversi spiegare, solo essere.
Illustrazione di Sonia Giampaolo