Caravaggio tra paradosso e scandalo: la prima versione di “San Matteo e l’angelo”
San Matteo e l’angelo, così come lo vedete in foto, è un dipinto di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio.
O meglio, lo è stato e questo è ciò che ne resta: una fotografia in bianco e nero.
Il quadro fu infatti distrutto durante la Seconda guerra mondiale, ma già prima di questo disastro ebbe una vita travagliata ricevendo dai contemporanei ben pochi consensi.
Il nostro “artista maledetto”, infatti, sebbene sapesse dove sarebbe stata ubicata la sua opera, scelse di non farsi scrupoli e non riservarsi dal donare alla tela un’accezione provocatoria, motivo per cui fu rifiutata dal committente.
Ma cosa rende questo capolavoro oltraggioso a tal punto?
L’arte di Caravaggio è misteriosa e affascinante tanto quanto lo è stata la sua vita; un’esistenza difficile, tormentata, profondamente segnata da quegli avvenimenti funesti che influenzeranno la sua intera produzione, impregnata del furore di un artista terreno, che sapeva trarre il celato carattere nobile della gente umile innalzandola a soggetto artistico.
La sua vocazione unica, che non tardò a manifestarsi, gli permise, in seguito a un periodo di formazione presso la bottega del pittore bergamasco Simone Peterzano, di avvalersi di alcuni protettori tra le famiglie di mecenati più potenti del sedicesimo secolo, tra cui ricordiamo gli Sforza e i Colonna, e di entrare nelle grazie del cardinal Francesco Maria del Monte, suo principale committente.
Fu proprio grazie all’influenza di quest’ultimo che nel 1597 ottenne il suo primo incarico pubblico: la realizzazione di alcuni dipinti raffiguranti i momenti salienti della vita di San Matteo per la Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi, a Roma. Nel dicembre del 1600 le due tele che gli erano state inizialmente commissionate avevano già visto la luce: si tratta della Vocazione di San Matteo e il quadro del suo martirio.
Vocazione di San Matteo
Martirio di San Matteo
A completare la decorazione della cappella ci sarebbe dovuto essere un gruppo scultoreo del fiammingo Jacob Cobaert, raffigurante il momento in cui l’angelo donò all’apostolo l’ispirazione per scrivere il Vangelo. Quando la scultura, ancora incompiuta, fu collocata dove prestabilito, il contrasto con le pareti laterali arricchite delle tele di Caravaggio dovette sembrare così evidente, talmente abbagliante che i membri della Congregazione di San Luigi dei Francesi decisero unanimemente di affidare al pittore anche la realizzazione di una pala d’altare: la rappresentazione di San Matteo e l’angelo.
Tuttavia, la Cappella Contarelli poté vantare per un brevissimo lasso di tempo la presenza della prima versione della scena dipinta da Caravaggio; il quadro, infatti, fu giudicato volgarmente irriverente e rifiutato dalla committenza, che incaricò il pittore della realizzazione di una seconda tela, quella che possiamo ammirare ancora oggi, che di fatto andò a sostituirlo, proprio nel luogo ad esso designato.
San Matteo e l’angelo – II versione
Ma cos’aveva la prima versione di questo dipinto di tanto inopportuno per i committenti?
Osserviamolo meglio.
San Matteo e l’angelo – ricostruzione a colori della I versione
I chierici della chiesa di San Luigi dei Francesi avevano rifiutato la tela adducendo la motivazione che il santo, così rappresentato, con le gambe accavallate e a piedi nudi, appariva privo di ogni decorum: “non aveva né decoro né aspetto di Santo, stando a sedere con le gambe incavalcate e co’ i piedi rozzamente esposti al popolo”. Insomma, un’immagine improponibile per il santo evangelista, ma nulla di cui stupirsi, conoscendo l’indole provocatoria di Caravaggio e il suo spietato realismo.
Questo non basta, però, a capire fino a che punto si fosse spinto l’artista per urtare così tanto la sensibilità della committenza; più che nell’apparenza di San Matteo, la provocazione vera e propria risiede nell’angelo che lo guida nella sua impresa.
Non vi sembra che i suoi lineamenti siano palesemente femminili? Tratti morbidi, labbra carnose, viso tondeggiante, forme sensualmente avvolte da un sottilissimo velo, i lunghi capelli sciolti: tanti piccoli particolari che, nel complesso, giocano sull’ambiguità del suo sesso, aspetto che ritroviamo anche nell’angelo raffigurato in Riposo durante la fuga in Egitto.
Qui Giuseppe è totalmente catturato dall’angelo che gli appare e, mentre la Vergine, ignara della situazione, riposa tenendo tra le sue braccia il figlio di Dio, si lascia sensualmente incantare da lui, con un’assorta espressione di abbandono e le dita dei piedi in fervore.
È la stessa tensione erotica che caratterizza la scena dipinta in questo caso da Caravaggio: l’angelo si avvicina all’apostolo Matteo sussurrandogli all’orecchio il contenuto del Vangelo, posa una mano su quella del santo e, in un’atmosfera che sembra ferma nel tempo e nello spazio, lo assiste nel suo compito mentre con le dita dell’altra si carezza il petto.
San Matteo, intanto, è completamente sbalordito, spalanca gli occhi e aggrotta la fronte. Sembra meravigliarsi del fatto stesso di essere in grado di scrivere, come un vecchio analfabeta, totalmente soggiogato da quest’angelica figura femminile che estaticamente lo possiede.
Una donna-angelo che insegna a scrivere ad un uomo – a quell’epoca! – e non ad un uomo qualsiasi, bensì a una figura maestosamente rigorosa quale dovrebbe essere quella di San Matteo, rappresentato invece come un umile contadino: non ci sarebbe potuto essere nulla di più oltraggioso per una committenza ecclesiastica, eppure il Merisi ebbe la sfrontatezza di non curarsene, dando vita a uno dei suoi più celebri e scandalosi capolavori.
Rebecca Grosso
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