Il parto anonimo è un diritto garantito dalla legge
Recentemente ha fatto scalpore la vicenda di Enea, un neonato che è stato lasciato in una culla per la vita a Milano.
Ciò ha riacceso il dibattito sul parto anonimo, un diritto garantito dalla legge italiana.
Una coperta verde e una lettera che inizia con “Ciao, mi chiamo Enea”. Questo è ciò che ha trovato il personale della Clinica Mangiagalli di Milano accanto ad un neonato, nella giornata di Pasqua. La lettera continua in questo modo: “Sono nato in ospedale perché la mia mamma voleva essere sicura che fosse tutto ok e per stare insieme il più possibile. La mamma mi ama ma non può occuparsi di me.” Questa vicenda, divenuta virale, ha acceso un dibattito sul parto anonimo. Molti hanno evidenziato il tono amorevole della lettera, da cui traspariva la voglia della madre di garantire al bambino un futuro migliore. Altri, tra cui il conduttore Ezio Greggio, si sono offerti di aiutare economicamente la donna, qualora avesse deciso di crescere il bambino. Alla fine, Enea è stato affidato ad una famiglia, che non vede l’ora di accoglierlo.
Una storia a lieto fine che, purtroppo, non condividono tutti i bambini non riconosciuti. Molti di loro, infatti, sono ancora abbandonati nei posti più disparati, rischiando la morte. Nel 2022, ad esempio, un neonato è stato trovato per puro caso da un contadino, all’interno di un sacchetto di plastica, in Sicilia. Casi del genere, pur facendoci indignare, devono farci riflettere su quanto sia delicato e complesso il tema della maternità. Non possiamo infatti permetterci di snocciolare le motivazioni che spingono una donna a rinunciare alla sua responsabilità genitoriale. Questo poiché si tratta di una scelta estremamente personale, che può derivare da problemi di diversa natura. Tuttavia, è importante ribadire che in Italia è garantito il diritto al parto anonimo. Ciò soprattutto per evitare che i neonati vengano abbandonati in posti sperduti, senza la possibilità di essere accuditi e rischiando la vita.
Nel concreto, infatti, ogni donna ha il diritto di partorire in ospedale, decidendo poi in autonomia se riconoscere o meno il bambino. Quando un neonato non viene riconosciuto, il nome della madre rimane segreto. Nel certificato di nascita si legge “nato da donna che non consente di essere nominata”. Inoltre, “La dichiarazione di nascita è resa da uno dei genitori, da un procuratore speciale, ovvero dal medico e dalla ostetrica o da altra persona che ha assistito al parto, rispettando l’eventuale volontà della madre di non essere nominata”. Successivamente, viene aperto un procedimento di adottabilità. Ciò garantisce ai neonati la possibilità di crescere in famiglie pronte ad accoglierli. In questo contesto, è importantissimo che la scelta del parto anonimo sia rispettata dal personale ospedaliero, che non deve in alcun modo giudicare o far sentire in colpa la partoriente.
Un’altra iniziativa, presente ormai su tutto il territorio nazionale, è rappresentata dalle culle per la vita, di cui abbiamo accennato prima con la vicenda del piccolo Enea. Si tratta di strutture che permettono alle partorienti di poter affidare i neonati al personale ospedaliero, in totale anonimato e sicurezza. Il bambino viene infatti lasciato in una specie di botola, dotata di chiusura di sicurezza e di riscaldamento. Dalla parte opposta c’è un presidio continuo, che viene avvisato tramite un segnale acustico e che è pronto ad accogliere il neonato. Scegliendo di usare una culla per la vita, ci si assicura che il bambino sia immediatamente affidato alle cure dei medici. Tuttavia, la soluzione più sicura ed efficace rimane comunque il parto anonimo in ospedale.
Stefania Berdei
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