Il Sol dell’Avvenire di Nanni Moretti
Chi ha seguito Nanni Moretti e il suo cinema nel corso degli anni può ritrovare ne Il Sol dell’Avvenire tutti i suoi motivi e le sue fissazioni, il tutto intessuto perfettamente in una trama giocosa ed ironica, proprio come quella della coperta di Linus che dai tempi di Sogni d’oro Giovanni porta con sé.
Ancora una volta Nanni si ritrova a fare i conti con quelle che erano le speranze di cambiamento di Michele Apicella, riattualizzate con amara ironia da un cinema che non smette di pensarsi come sovversivo; perché il film di Nanni parla di cinema e politica, oppure forse è un film d’amore? Perché scegliere? In fondo, i gesti d’amore non sono una forma di coesione sociale e di lotta?
Perché la cosa più difficile forse, è non cedere al cinismo, ad un pessimismo arrendevole che si ripiega su un intimismo romantico da esteta che rinuncia alla lotta, sarebbe troppo facile. Quella di Nanni è un’umanità allegoricamente danzante sulle note di Battiato, un’umanità che può ancora cantare stonando (con il circostante); ma questo non è l’ingenuo ottimismo di chi non vede i problemi, o di chi vede la vie en rose, ma è forse quella complessa semplicità (che non si lascia sedurre dalle lusinghe di una certa serietà e cerebralità intellettuale) sognata dal pasticciere trotzkista di Caro Diario che in fondo voleva solo saper ballare come Jennifer Beals.
Il Sol dell’Avvenire è un riuscitissimo film politico e d’amore, che affronta problemi estetici, con la consapevolezza che i problemi estetici sono a tutti gli effetti problemi etici, sociali e politici. Il film racconta la storia di Giovanni, interpretato dallo stesso Nanni, impegnato nelle riprese del suo film dalle atmosfere circensi sulla rivolta antisovietica ungherese del 1956 e sugli effetti che ebbe sul partito comunista italiano.
Nel frattempo Giovanni, in crisi con sua moglie Paola, produttrice cinematografica, interpretata da Margherita Buy, sogna in una sorta di transfert, di girare un film su una coppia in crisi, sulle note delle canzoni di Tenco, Noemi, Battiato (vecchio amico di Nanni), Aretha Franklin, canzoni che uniscono in una sorta di continuum affettivo, cinema, sogno e realtà. I riferimenti al cinema sono costanti ne il Sol dell’Avvenire, a partire da una scena che ci mostra una giovane coppia al cinema che guarda il finale de La Dolce Vita, ai chiari rimandi ad 8½, basti pensare alla scena in cui tutti ballano sulle note di Voglio vederti danzare che ricorda il cerchio danzante che chiude il film di Fellini.
D’altra parte, questo mix di marxismo, circo ed artisti di strada, ricorda le atmosfere dell’eccentrico film cecoslovacco The Cassandra Cat (1963) in cui l’arrivo in una monotona cittadina di un circo itinerante e di uno strano gatto portano una ventata di novità e cambiamento in un clima immobile; è la stessa sensazione di speranza che ci lascia il film di Moretti. Perché i riferimenti cinematografici di Nanni Moretti sono senza dubbio momenti di romanticismo e nostalgia, ma si caricano al contempo di un’energia politica e di cambiamento, diventando materia plastica per pensare un presente diverso.
Qualcuno dirà che Il Sol dell’Avvenire sia un film nostalgico, se anche fosse, si tratterebbe comunque di una nostalgia che non scade in un passatismo fine a sé stesso, mero souvenir di tempi andati; quella di Nanni è una riattualizzazione storica fatta con lucida consapevolezza di quanto sia difficile ricostruire un passato storico nei film che non scada in un insieme di stereotipi visti e rivisti, o per dirla con Baudrillard, in un gusto retrò perfettamente realistico, ma ridotto a nulla più di un simulacro. È significativo che Giovanni regista durante le riprese del suo film rimproveri la sua troupe per aver dimenticato degli oggetti di uso quotidiano nel presente, in quelle che dovrebbero essere le scenografie che ricostruiscono gli anni Cinquanta, nei quali naturalmente quegli oggetti non esistevano neppure.
Viviamo in un reale che si configura sempre più come intrattenimento fine a sé stesso che inghiotte ogni possibilità di distanziamento critico di una cultura che si interroghi sui propri presupposti e sui suoi effetti; e questo Nanni lo sa molto bene, ne è una prova una delle scene chiave del film, quella in cui Giovanni giunge su un set e ferma le riprese di un regista.
Nanni interrompe le riprese di una scena violenta del film del regista rimproverandogli l’uso di una violenza gratuita e fine a sé stessa, da qui si innesca una lunga discussione che tiene tutti in piedi dalla sera al mattino seguente, sul mostrare scene di questo tipo nei film, scene in cui il conflitto viene quasi ipostatizzato, perdendo così il suo senso di critica del gesto violento. In questo frangente Nanni chiama anche Scorsese in suo soccorso, però gli tocca lasciare un messaggio alla sua segreteria, inoltre si cita di sfuggita anche il Neorealismo; sono due riferimenti paradigmatici in qualche modo di una rappresentazione della violenza mai fine a sé stessa, quanto piuttosto di una critica che risponde ai problemi posti dal reale.
Nanni ci ha abituato ad un cinema che torna ricorsivamente a riflettere su sé stesso, sul suo rapporto con il reale e con il pubblico, si pensi ancora una volta a Sogni d’oro e alla domanda che pone sulla ricezione di un cinema politicamente impegnato; cosa gliene può importare ad una casalinga di Treviso, ad un bracciante lucano o ad un pastore abruzzese dopo una dura giornata di lavoro, dei suoi film, viene chiesto a Nanni, che in fondo, continua a riporre fiducia nel suo pubblico.
Il Sol dell’Avvenire attraversa un po’ tutti i film precedenti, culminando nella scena finale che vede sfilare in una manifestazione tutti gli attori che hanno lavorato al fianco del regista; a metà tra la consapevolezza di uno spirito rassegnato ma non troppo, non fino in fondo e la giocosità e l’ironia dei dettagli, Nanni firma un film che è un po’ come una boccata d’aria fresca che continua ad esercitare il pensiero della possibilità.
Benedetta De Stasio
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