Il fuoco di un’altra
Ho immaginato spesso come sarebbe stata la mia vita se avessi avuto un altro trascorso.
Questa non è la classica storia delle Sliding Doors, dove si è davanti a due destini, due opportunità. “Destino, opportunità, scelta, porte” sono tutte parole che fanno parte del futuro. Io vorrei cambiare il mio passato.
Sono qui a 30 anni a fare i conti con una personalità che conosco bene, con un carattere che ho più volte tentato di cambiare ma mi rendo conto sempre di più che è praticamente impossibile. Sono davanti sempre alle stesse scene, mi circondo sempre delle stesse persone le quali reagiscono sempre allo stesso modo. È una sorta di malattia che diventa ereditaria anche quando non lo è. “Reagisci diversamente” continuo a ripetermi, “la rabbia fa male solo a te, poi ti si ritorcerà contro tutta insieme”. E me la porto addosso ogni giorno di più, accumulo fiammelle di rabbia che diventano via via un incendio pronto a divampare di fronte alla prima persona che avrò davanti casualmente, che subirà tutto il fuoco e il fumo, e non ne avrà neanche colpa.
Accumuliamo invece di reagire, reagiamo invece di controllare.
Ci sono dei momenti di pausa dalla rabbia: lì credo di stare bene, attimi in cui credo di essere felice. Credo. Ma so che dopo un po’ tutto tornerà come prima.
La causa scatenante della mia rabbia è sempre la stessa, io la conosco, so che devo allontanarmi il più possibile dal problema ma non dipende da me. Quando isolo il problema poi sento di non aver fatto la cosa giusta e ci sto male.
Vorrei aver imparato a reagire senza piangere, senza stare male, senza dover credere di buttare bestemmie a mia volta contro altre persone. Vorrei far girare la spirale del bene, invece di quella del male. Vorrei incanalare tutte le energie in qualcosa di positivo, trasportare tutta questa rabbia in un fiore che sboccia. Ma ancora una volta, mi rendo conto di non saperlo fare. Alla rabbia reagisco con rabbia, anche se vorrei reagire con calma e pace. Al dolore reagisco con le lacrime, anche se vorrei reagire con la consolazione. Mi faccio anche carico della sofferenza altrui credendo di esserne responsabile, e quando non riesco a risolvere un problema, mi sento ancora più arrabbiata, ancora più afflitta. Mal di pancia perenne, mal di testa costante.
Ed è quando sono davanti al vetro della finestra, immobile, con le mani gelate e il viso rovente, quando tento di controllare l’impeto che porto dentro, che ripenso al mio fuoco da bambina. Un fuoco che veniva calmato. Ma da chi?
Ho appena iniziato a leggere Via Gemito di Starnone, nonostante il parere non troppo lusinghiero di alcuni lettori i quali dicono di averlo abbandonato quasi subito. Ho capito subito il motivo, quando ho cominciato a leggerlo anche io. È quella che io chiamo la durezza della violenza: nessuno vuole affrontarla, nessuno vuole trovarsela davanti, nessuno vuole sentire un figlio che si dichiara per tutta la vita vittima del carattere del padre. Chi non la conosce, non può capire. Possono essere piccoli eventi, non troppo gravi, oppure eventi ben più importanti. Ad ogni modo, quello che ti logora dentro è la pressione quotidiana: la consapevolezza costante che tuo padre non cambierà e che tu debba sempre e solo subirlo. Certo, esistono fardelli ben più pesanti nella vita, ma provateci voi a vivere così.
L’acqua che calmava il mio fuoco da bambina era una casa, una casa intesa come la intenderebbero gli inglesi: home. Quello che c’era dentro, chi la abitava, la luce forte del mezzogiorno, il buio inquietante della notte. Di giorno stavo sempre in cucina, la sera accendevo tutte le luci ad occhi chiusi perché avevo paura delle ombre. Quando stavo a letto non guardavo mai in un determinato punto perché mi angosciava. C’era chi mi acquietava con i suoi racconti di infanzia: storie di guerra, di bombe che distruggevano case, di bambini che dormivano nella stanza dove mangiavano, di mamme che non avevano tempo per il trucco, di padri che sopravvivevano e si arrangiavano con quello che avevano. Per me erano tutti degli eroi, chiunque abbia vissuto in quei tempi credo lo sia. C’era chi mi acquietava con le enciclopedie sugli animali, quel libro consumato durante gli attacchi di panico perché solo sapere dove vivevano il leone e la giraffa mi calmava. C’era chi mi acquietava con un gelato nel nostro bar preferito. C’era chi mi acquietava con le videocassette dei cartoni della Disney e dei film di Pieraccioni.
Ma poi dovevo tornare nell’altra casa, che era meno home dell’altra, e tutto tornava come prima. In un ciclo continuo di ira, urla, paura, silenzio.
Cosa sarebbe cambiato se avessi avuto un altro passato? Se mi avessero insegnato a reagire in un altro modo? Se avessi metabolizzato diversamente alcuni eventi? E se ancora oggi potessi avere il mio rifugio?
Come sarebbe stata la mia vita se avessi avuto il fuoco di un’altra?
Lucia Russo
Illustrazione di Sonia Giampaolo
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