Teatro e tecnologia: due mondi che si abbracciano
Sin dai primi giorni in cui il teatro mosse i suoi primi passi in Grecia, avere un impianto scenotecnico all’avanguardia è stato di fondamentale importanza.
Ma quali sono le macchine sceniche più usate a teatro nei secoli? E come si sono evolute?
Il nostro viaggio all’insegna della riscoperta della scenotecnica teatrale parte intorno al V secolo a.C. Durante le Grandi Dionisie, Euripide, uno dei tre maggiori tragediografi greci, fece molto rumore ad Atene facendo diventare una macchina scenica il marchio di fabbrica delle sue tragedie, la mechané. Questa opera di ingegneria, consisteva in una rurale gru che, attraverso dei cavi e delle carrucole, consentendo agli attori di compiere dei voli scenici molto suggestivi, che permettevano il deus ex machina, ovvero l’entrata in scena di una divinità durante la tragedia. Gli spettatori ateniesi rimanevano estasiati dall’innovazione che rappresentava questo macchinario, anche se, successivamente, criticarono l’uso spasmodico di questo apparecchio che risultava quasi prevedibile verso la fine della rappresentazione.
Non si pensi che questo, sia stato l’unica macchina scenica della quale tragediografi e commediografi si servivano durante gli spettacoli, la lista è molto lunga e comprende bronteion, klimakes, periakta, tutti macchinari che ci vengono illustrati da Vitruvio nel suo De Architectura. Di largo utilizzo nel teatro greco era anche l’ekkyklema, nient’altro che un semplice carro che trasportava i corpi morti degli attori sulla scena per mostrarli al pubblico. Ebbene sì, ad Atene la morte era considerata un avvenimento così scabroso da non dover essere assolutamente rappresentato in scena; le morti, infatti, si consumavano sempre dietro la skené, una struttura che divideva il palcoscenico dal retro dell’edificio teatrale.
Il discorso è diverso per il teatro medievale, di fatti, la Chiesa metteva tanta pressione agli artisti per assicurarsi il controllo del mezzo d’espressione, al punto che la maggior parte delle rappresentazioni appartenenti a questo periodo si svolsero esclusivamente in edifici ecclesiastici, o comunque in luoghi adiacenti ad essi. La scenografia, quindi, non poteva avere largo spazio, se non per qualche crocifisso e qualche Madonna in preda a svariate estasi -gran brutta storia la censura eh?
Già con il periodo Rinascimentale, la musica cambiò; il Vasari ci racconta di un illustre Filippo Brunelleschi che, attraverso degli “ingegni”, rendeva l’esperienza teatrale qualcosa di straordinariamente magnifico. Durante alcune sacre rappresentazioni, il Brunelleschi e alcuni suoi aiutanti, progettarono una macchina scenica senza un nome preciso, ma con un obbiettivo simile a quello visto con la mechané. A Firenze si festeggiava il capodanno fiorentino e la chiesa camaldolese di San Felice fu teatro di un allestimento scenico assai complesso, ornato da ingegni illuminotecnici, musicali e visivi che permettevano di entrare in un ambiente che simulava il Paradiso. Brunelleschi pensò ad una macchina scenica per far sì che l’Arcangelo sorvolasse tutta la navata centrale della Chiesa e pensò anche alla disposizione ideale dei fedeli affinché rimanessero tutti folgorati dall’ingegno.
Negli anni successivi, grazie all’impegno dello stesso Brunelleschi e ad alcuni intellettuali come Gian Battista Aleotti, il punto di svolta della scenotecnica fu indubbiamente l’introduzione dei fondali prospettici, delle quinte angolari e del boccascena, tutti strumenti che hanno radicalmente cambiato il modo di intendere la scenografia. Nella nostra riscoperta non ci soffermeremo su questo aspetto, perché riassumerlo in poche righe sarebbe un’ardua impresa che non renderebbe affatto giustizia a queste geniali menti. Riportiamo solo l’esempio del fondale del Teatro Olimpico di Vicenza- realizzato per la rappresentazione dell’Edipo Re nel giorno dell’inaugurazione del Teatro- a distanza di 436 anni, il Teatro mantiene tutt’oggi quella stessa scenografia data la sua estrema bellezza. A realizzarla fu Vincenzo Scamozzi, erede spirituale dell’architetto Andrea Palladio che realizzò il Teatro.
Il Teatro Barocco, fu altresì fondamentale per l’evoluzione tecnologica nell’ambiente teatrale. Dobbiamo a questo periodo l’usanza di scrivere opere in funzione delle macchine sceniche, le cosiddette “piéces à machine” che ebbero tanta fortuna nella Francia del 1600. C’è da dire che le macchine sceniche, però ebbero maggiore risonanza nel teatro musicale, anche se qualche anno dopo con invenzioni come il palco girevole, le macchine sceniche vennero completamente soppiantate dalla meccanizzazione di tutta la struttura teatrale.
Arriva con l’Ottocento il punto di svolta, quando l’energia elettrica finalmente giunge a teatro permettendo, oltre all’illuminazione- che evitò i frequenti incendi dovuti alle candele usate fino ad allora- anche l’introduzione di marchingegni molto complessi, come ad esempio il palco girevole, che permetteva agli attori di recitare su una scena, mentre dall’altro lato si stava già procedendo all’allestimento della seconda scenografia, ruotando all’occorrenza il palcoscenico nel momento del bisogno. Max Reinhardt ne fece un largo uso, attraendo un gran numero di spettatori a teatro anche solo per vedere la sua bravura nell’usare queste macchine così moderne e innovative per l’epoca.
Addentrando il nostro viaggio nel secolo breve, vediamo come l’approccio dei drammaturghi e degli scenografi volgeva già in una visione molto vicina alla nostra. Prendiamo in esame uno dei riteatralizzatori del Novecento, Edward Craig, che optò per una soluzione scenotecnica mai vista prima di allora. Si trattava dei cosiddetti screen, letteralmente dei grandi schermi messi l’uno vicino all’altro per ottenere la scena desiderata. È curioso notare che tutt’oggi si stanno compiendo delle sperimentazioni sui set cinematografici che consistono nella disposizione di alcuni schermi che proiettano paesaggi ad alta qualità, in modo da abolire il green screen. Possiamo forse dire che Craig fosse un precursore di questa idea?
Trattandosi però di cinema il discorso è sicuramente diverso, anche se c’è chi, sempre nel 900 pensò bene di non diversificare troppo le cose. Sto parlando di Erwin Piscator, che, oltre a perfezionare la scena rotante, l’uso del tapis roulant e le scene multiple, riuscì nel suo intento di portare il cinema all’interno della rappresentazione teatrale. Piscator, nelle sue opere di stampo chiaramente marxista, voleva dare voce a quella fetta di popolo oppressa da una società fortemente capitalista. Proprio perché egli protendeva la sua arte alla popolazione meno abbiente, spesso analfabeta, ebbe la geniale idea di inserire nelle rappresentazioni, alcuni spezzoni di video e documentari presi direttamente dagli archivi di stato, in cui si denunciava la situazione dei lavoratori.
Giunti al termine del nostro viaggio, dovremmo un attimo riflettere sull’uso che tutti noi facciamo della tecnologia. I grandi geni di tutte le epoche viste oggi si sono serviti della tecnologia, riuscendo a gestirla a seconda delle necessità che la propria arte richiedeva. Spesso sottovalutiamo quanto adagiarci sulle innovazioni possa farci diventare schiavi e, in alcuni casi più gravi, sottomettere ad essa anche la nostra arte.
Giovanni Perna
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